Immagini che la tua vita prenda un strada, segua un percorso poi scopri emergenze politiche e sociali che la trasformano completamente. Per Deborah di Cave incontrare il Circolo Mario Mieli ha portato a tutto questo, una formidabile sinergia durata per anni.
Quando arrivai alle Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli era intorno al 1990: la mia motivazione di ragazza borghese di famiglia ebraica molto laica da poco iscritta a Scienze Politiche alla LUISS era sicuramente abbastanza ambigua perché tecnicamente già sapevo di essere bisessuale, ma non avevo mai approfondito completamente questa attitudine se non con qualche amica. Vivevo una vita in effetti da persona asessuale si direbbe oggi, ma la spinta che mi fece attraversare quel portone, che all’epoca era su Via Ostiense, fu in realtà lo stigma e le notizie terribili che leggevo quotidianamente sui giornali in merito alle questioni dell’Aids e delle persone con Hiv. All’epoca sognavo di diventare una diplomatica, ma in verità poi la mia vita prese un’altra direzione e divenni assistente sociale. Probabilmente questo mix tra impegno politico, impegno sociale e vissuto personale, in qualche modo era già molto potente. Io leggevo nella mia cameretta articoli di quotidiani che parlavano di “peste dei gay”, di persone che venivano letteralmente lasciati fuori dai bar e non gli veniva neanche offerto un bicchiere d’acqua se non i bicchieri di plastica e mi ribolliva il sangue. Quindi mi trovai a cercare su quegli stessi quotidiani notizie in merito a corsi e iniziative di formazione per chi voleva aiutare le persone malate e fare attivismo, e così mi imbattei in un annuncio del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli che cercava volontari e volontarie per i corsi da assistenti domiciliari per malati di Aids. Era una situazione completamente nuova, era proprio un modo del tutto diverso di fare assistenza e sanità coinvolgendo persone non professioniste. Così mi iscrissi a questo corso. Avevo 23 anni e la porta che mi si aprì fu incredibile perché mi trovai in una associazione che oggi potremmo chiamiamo lgbtqi+ che in realtà era popolata unicamente da uomini gay abbastanza grandi e con una storia e una formazione politica e culturale eccezionali. La sede era scalcinata e quasi pericolante, gelida e sporca, ma l’attivismo era palpabile e io mi ci buttai a capofitto. In breve mi ritrovai a svolgere l’attività di assistente domiciliare per i malati di Aids come mi ero proposta, ma a fare anche molte altre cose e per dirla tutta dopo meno di 6 mesi dal mio arrivo decisi di lasciare l’università privata che frequentavo perché volevo dedicarmi totalmente all’attivismo. Avevo anche chiaramente preso piena coscienza della mia bisessualità e quindi queste attività si coniugavano con nuove amicizie e relazioni, ma soprattutto era molto forte anche il coinvolgimento in una associazione che in quel momento era popolato da persone eccezionali molte delle quali potei conoscere per poco tempo come Marco Melchiorri e Marco Sanna a cui oggi è intitolato il centro documentazione del Circolo.
L’associazione, in quel momento storico irripetibile, era attraversata, animata, vissuta da persone che erano contestualmente le vittime di una malattia atroce e di un gravissimo stigma ma allo stesso tempo anche artefici di una profonda rivoluzione politica e culturale, in tutto questo, dovevano anche interfacciarsi con istituzioni profondamente omofobe, organizzazioni lgbtqi+ internazionali, ecc. E io mi trovavo lì, quasi unica donna e persona giovane in un momento epocale. Il Circolo tra le varie cose doveva iniziare a raccogliere fondi per portare avanti le numerose attività di sensibilizzazione sull’Hiv e di sostegno alle persone malate così nacque l’idea di organizzare una festa danzante settimanale: il Mario Mieli già organizzava feste in cui si ballava, ricordo le serate al Grigio Notte a Trastevere, ma in quel momento venne in mente di creare una grande festa in discoteca, festa in cui per la prima volta sarebbe stata la musica pop frocia e la nostra peculiare forma di animazione a diventare attraenti e modaiole per gli altri, per il pubblico misto, per le persone etero; l’idea di essere noi in effetti un modello di divertimento da proporre al mondo etero. Nacque così Muccassassina e pochi sanno perché si chiama così: le prime feste vennero realizzate all’ex Mattatoio a Testaccio, l’idea quindi era quella di una mucca che si ribella al suo assassino, al suo è boia e infatti ha una falce! Una minoranza che si ribella alla sua fine violenta predestinata! Le feste iniziarono a Testaccio poi si spostarono in zona Vaticano in una grande sala di proprietà della Chiesa che prima era stato un cinema porno (meraviglie di Roma!) e poi al Palladium a Garbatella e in altri posti in città. In queste serate del venerdì si riusciva a far coesistere la musica da ballo con i proclami politici dal palco, la presenza di tantissimi artisti e artiste internazionali e nazionali che morivano dalla voglia di esibirsi lì, le prime drag queen d’Italia, il lavoro di decine di giovani volontari e volontarie che finalmente iniziavano ad arrivare al Circolo attirati dai sempre più numerosi servizi e dalla possibilità di partecipare a progetti potenti come quello di Muccassassina.
Il volontariato iniziò ad avere uno spazio molto importante nel Circolo: dal confezionare centinaia di fiocchetti rossi per l’Aids a tenere in piedi la macchina di Muccassassina, dal guardaroba al bar, chiunque negli anni ’90 abbia attraversato la porta del Mieli si è ritrovato coinvolto in ore di attività non retribuite capaci di mandare avanti una complessa macchina associativa e contestualmente di creare comunità, amicizie, formazione politica, relazioni sentimentali. Attraverso queste nuove attività, parimenti il Circolo iniziò a essere conosciuto anche all’esterno grazie alla realizzazione di nuovi servizi che videro la luce proprio nella prima metà degli anni ’90. Nasce un consultorio psicologico per persone lgbtqi+, vengono fatti i test Hiv in collaborazione con l’Ospedale San Giovanni, si iniziano a d avere sempre più rapporti con le istituzioni, con il Comune di Roma, con la Regione Lazio. È chiaro era un momento molto fertile: l’ultimo atto di potente connessione con le istituzioni pubbliche per un’associazione gay era stato quando nel 1982 il Cassero di Porta Saragozza a Bologna era stato assegnato all’Arcigay. A Roma però la particolarità del Mieli era quella di essere un’associazione autonoma dall’Arcigay che ormai aveva circoli sparsi in tutta Italia – e a Roma ci vollero anni per crearne uno – con un respiro però nazionale, in quanto nella capitale, e anche animato da una dimensione più antagonista e meno legata a un dialogo appiattito con i partiti di sinistra. Forse è esagerato dire che il Circolo aveva un’anima rivoluzionaria, ma sicuramente era un pochino meno centrista di quanto non fosse l’Arcigay.
Tra i tanti eventi che misero l’associazione in connessione con la città ricordo svariate rassegne cinematografiche – nei cinema Politecnico, Moderno e Modernetta… tutte realtà che ahimè oggi non esistono più – e un bellissimo convegno sulla figura di Mario Mieli organizzato nel 1991 alla biblioteca Vallicelliana a Corso Vittorio Emanuele, per ricordare la figura a cui era stato intestato il Circolo e che era stato animatore anche delle associazioni da cui il Circolo prese vita, il FUORI e il Narciso. L’idea era di uscire finalmente dallo steccato del mondo puramente lgbtqi+ e questo ci portò anche ad andare sempre più protagonisti sui vari media. In quel momento la televisione andava ghiotta di persone lgbtqi+ visibili, magari anche con storie difficili da raccontare, ma erano poche persone che accettavano di esporsi. C’era ovviamente Franco Grillini dell’Arcigay, Vanni Piccolo e anche io, per molto tempo unica donna insieme a Graziella Bertozzo che nel 1990 era diventata segretaria dell’Arcigay con Grillini presidente. Non era facile andare in televisione: all’ovvio problema del coming out che rendeva le nostre vite visibili e vulnerabili, c’era la tensione di dover gestire conduttori sanguisughe che cercavano solo la storia strappalacrime e quella di cercare di dire qualcosa di intelligente, che servisse alla nostra comunità.
Fu proprio andando in tv che decisi di velare per un po’ di tempo la mia bisessualità sempre dichiarata per rappresentarmi come lesbica capendo che c’era grande confusione e discriminazione nella stessa comunità lgbtqi+ su questo orientamento. Quando più avanti, già presidente del Mieli, feci un nuovo coming out dichiarandomi pubblicamente bisessuale dalle pagine di un giornale capì quanto ancora ci fosse – e ci sia – da fare anche all’interno della nostra stessa comunità per evidenziare e rendere paritarie le identità e orientamenti diversi da quelli cis-gay. Attraverso queste difficili ma indispensabili presenze in televisione, chiaramente avveniva che sempre più ragazzi e ragazze cominciavano a prendere contatto con il Circolo che iniziò quindi a popolarsi di una nuova e numerosa presenza. Fino a quel momento l’associazione era aperta solo in alcune ore del giorno perché non aveva le forze per avere una segreteria per tutta la giornata, ma a quel punto si decise di creare uno staff più ampio e io diventai, insieme ad altre persone, segreteria del Circolo che iniziò ad essere frequentato a tutte le ore del giorno e della sera. Questa nuova popolazione giovanissima e piena di richieste fece emergere l’esigenza di momenti interni alla sede di divertimento e relazione al di fuori di Muccassassina e degli eventi più istituzionali. Per esempio si decise di organizzare una classica serata di cineforum che venne chiamata Night&Gay; la riunione politica del lunedì diventò un appuntamento di massa fortemente partecipato e democratico, una vera scuola di formazione politica; la sede fatiscente, senza riscaldamento e con i bagni terribili venne rimessa a posto da decine di volontari e vennero creati momenti aggregativi gestiti da volontari stessi, come una sala da tè della domenica pomeriggio per fare conoscenze e chiacchiere in libertà in una città che ieri come oggi non offriva spazi realmente friendly che non fossero notturni. E ricordiamoci che eravamo in un’epoca senza internet e social!
In quei primi anni ’90 nasce anche l’idea di creare un giornalino cartaceo del Circolo: certo sul piano nazionale e nelle edicole c’era un giornale di pregio come Babilonia dove scrivevano anche giornalisti affermati, ma si sentiva l’esigenza di avere una testimonianza dei pensieri e della cultura di chi effettivamente dentro una associazione lgbtqi+ militava. Così nacque Aut che ben presto ebbe una sua vera e propria redazione e che veniva distribuito non solo all’interno dell’associazione e durante le sue iniziative, ma anche in librerie maintsream come Feltrinelli.
La mia sensazione è che nel momento di massima rinascita del Circolo a dieci anni dalla sua fondazione si usarono spesso i metodi tipici dei movimenti anni ’70 – il cineforum, il ciclostile, l’assemblea – per creare comunità e lotta politica. Sul piano delle rivendicazioni politiche però, almeno a livello nazionale, stranamente non avevamo poi chissà quali grandi richieste. Come interlocutori politici avevamo ovviamente i vari partiti di sinistra come i radicali, i verdi e l’allora partito comunista che poi si trasformò in tutte le varie derivazioni di cui neanche ricordo più il nome. Però di fondo non c’era poi moltissimo da discutere sul piano normativo: l’ipotesi di avere proposte di legge in termini di famiglie, unioni civili o matrimonio egualitario, figli, erano di là da venire e al limite si parlava di estendere la legge Mancino ai reati di omolesbobitransfobia (vi ricorda qualcosa come è andata molti anni dopo con il Disegno di Legge Zan?). Per questo quando nel 1994 venne votata a Strasburgo una risoluzione a firma dell’europarlamentare Verdi tedesca Claudia Roth che intimava ai paesi membri di produrre quanto prima normative a tutela delle persone lgbtqi+ e di dare regolamentazione alle formazioni famigliari di vario genere arrivò una scossa molto forte al movimento italiano che appunto non si era tanto interrogato su queste possibilità. Subito un po’ in tutti i circoli Arcigay e anche al Mario Mieli ci si cominciò a domandare in veri e propri gruppi di autocoscienza e riunioni politiche se effettivamente era una nostra priorità avere matrimonio piuttosto che figl*.
E’ in questa temperie che nacque l’ipotesi di realizzare un primo Pride nazionale. In effetti fino a quel momento c’erano state manifestazioni in varie città sia in occasione del 28 giugno che in altre, ma mai una iniziativa nazionale perché il timore era che sarebbe stata molto poco partecipata tanto da risultare un autogol per la stessa comunità, dimostrando così alle persone eterosessuali che noi per primi ci vergogniamo di andare per strada la luce del sole e sotto i riflettori. Era quindi un’idea che aveva attraversato sicuramente molte volte il movimento, ma era stata altrettante volte ricacciata nel cassetto. Nel 1994 io ero presidente del Circolo e decidemmo di andare da uditori al Congresso Nazionale dell’Arcigay a Riccione che si svolgeva in aprile e di portare questa proposta: un corteo dell’Orgoglio gay – così si chiamava all’epoca – che si sarebbe tenuto a Roma il 2 luglio. Ricordo che all’inizio l’idea fu abbastanza osteggiata dall’Arcigay nazionale proprio per il timore di ottenere un risultato contrario a quello sperato; poi però le volontà coincisero e si trovò il coraggio di decidere per il sì. Ovviamente decidemmo di invitare Claudia Roth che prontamente aderì e in pochissime settimane a Roma, proprio al Circolo: eravamo un manipolo di persone, in un’epoca senza Internet e con i fax si mise al lavoro per realizzare questa prima volta. Il primo obiettivo da raggiungere era far confluire a Roma il maggior numero di persone possibile, cercare di far arrivare pullman da tutte le associazioni lgbtqi+ italiane e di far partecipare anche la società civile mettendo insieme sindacati e partiti di sinistra, ma contattando anche associazioni e collettivi che oggi troveremmo poco credibili come i Raeliani o gli Uomini casalinghi! Ovviamente si sarebbe trattato di un corteo senza carri e scegliemmo un itinerario anche molto breve proprio per evitare di ritrovarci in vialoni aperti in pochissimi. Molto buffo fu andare con un semplice Tuttocittà in mano con l’itinerario segnato con l’evidenziatore giallo in Questura a chiedere l’autorizzazione. Tutta la situazione non era una novità solo per noi, ma anche per le istituzioni e io mi ritrovai davanti un commissario che era più imbarazzato di me a questa richiesta perché non aveva mai visto una donna di un’associazione lgbtqi+ che faceva questa richiesta e così per rompere il ghiaccio mi disse che lui aveva letto tutta Virginia Woolf!
Una parentesi sul fatto che ero diventata presidente del Circolo nel 1994. Andrea Pini che ne era stato fondatore ed era presidente in quegli anni decise nel 1993 di lasciare il posto a gente più giovane e nuova, quindi diventò presidente Pino Anastasi che era uno degli psicologi del Mieli e io ero vicepresidente. Poi nel 1994 diventai io presidente, la prima volta che una donna aveva questo incarico in una associazione che ancora aveva una forte prevalenza maschile. Questo avvenne perché questo ruolo rendeva necessario metterci la faccia e dedicare molto tempo e io avevo fatto questa scelta di militanza, sempre però con l’ambiguità dell’autocensura sulla mia bisessualità e senza incarnare una politica effettivamente lesbica e femminista, ma piuttosto aderendo a un modello di politica frocia che probabilmente, con il senno di poi, ha sempre reso difficile permeare il Circolo con istanze e modalità operative diverse da quelle dei maschi gay. Ciò che avvenne al Pride stupì noi per prim*: circa 10mila persone parteciparono al più grande coming out di massa che il nostro paese ricordi! Decidemmo di chiudere il corteo a Piazza Campo de’ Fiori: un’altra delle nostre ingenuità scegliere una piazza che viene occupata per metà giornata dal famoso mercato dove ci vogliono ore a ripulire; il palco potemmo montarlo molto tardi. Altra questione era coinvolgere artist* che volessero esibirsi per noi alla fine del corteo. Tutti ricordiamo che all’epoca poche erano le persone dello showbiz che si sbracciavano per essere al nostro fianco. Il Sindaco di Roma dell’epoca era Francesco Rutelli che era stato eletto da non molto anche grazie anche alla campagna elettorale fatta dal Circolo. Rutelli decise di partecipare per un pezzo di parata scendendo dal Campidoglio a titolo personale, sfilando accanto a Vladimir Luxuria in veli viola e scolapasta sul seno. Questa parata e le iniziative collaterali ci fecero portare a casa indubbiamente molti risultati in termini di visibilità del Movimento, di orgoglio di quanti erano stati coinvolti e sicuramente cambiò la vita di molte persone lgbtqi+, nonché di molte persone eterosessuali che per la prima volta videro che effettivamente avevamo il coraggio di esporci pubblicamente. Meno o proprio nessun risultato invece si ebbe sul piano politico perché se è vero che nei giorni dopo la Risoluzione di Strasburgo in tutta Europa cominciarono a essere varate normative a tutela delle formazioni familiari tra persone dello stesso sesso, in Italia sappiamo benissimo che di fatto non si è ottenuto nulla fino alla Legge sulle Unioni Civili del 2016, peraltro tardiva e monca di aspetti egualitari fondamentali.
C’è da ricordare che contestualmente a questi momenti di orgoglio la comunità romana viveva continui episodi di omofobia che colpivano con omicidi i gay che frequentavano i luoghi di battuage (il Circolo organizzò con la Questura una linea telefonica per le denunce anonime grazie al coraggioso sostegno di un giovane rappresentante della Polizia, quel Nicola Calipari che sarebbe poi morto anni dopo in Iraq liberando la giornalista Giuliana Sgrena) e anche lo stesso Circolo. L’entrata del Mieli su Via Ostiense fu chiusa dai vicini di condominio dopo una incursione violenta contro di noi e la costruzione di una vera e propria barriera metallica tra la sede dell’associazione e gli altri palazzi, che nonostante l’intervento dei mass media e del Comune di Roma rimase in piedi quasi un anno! Nella notte dopo il Pride però nacque anche un’idea coraggiosa: creare una federazione che chiamammo Azione Omosessuale che avrebbe riunito il Circolo e altre Associazioni che come noi erano fuori dall’orbita dell’Arcigay (Omphalos di Perugia, Tram dei Devianti di Genova e Informagay di Torino). Eravamo pochi e durammo due solo anni, dal 1994 al 1996, un anno con Presidenza di Vladimir Luxuria e un anno con la mia presidenza, ma l’idea era ambiziosa: portare avanti un tipo di politica meno timida, meno centrista come ci sembra quella dell’Arcigay.
Nel 1996 decisi poi di tornare a dedicarmi alla mia formazione culturale e professionale, pur non lasciando mai la militanza attiva che poi si è evoluta anche in molte altre strade.