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Mario Mieli autore, regista, costumista, scenografo, truccatore: qualcosa di magico

di Emiliano Metalli
Osserviamo Mario Mieli attraverso la lente del teatro: una figura di intellettuale complesso, agitatore culturale, politico dissacrante, controcorrente, avanguardista, spesso inarrivabile e in anticipo su temi e metodologie. 
Mario_Mieli_Primo_festival_di_cineteatro_gay,_Parma,_1977_-_Foto_di_Giovanni_Rodella1

“Se nella società in cui viviamo la recita è la norma, perché tutti quanti da quando si alzano il mattino fino a notte recitano sempre una parte, il teatro è il luogo in cui è possibile manifestare autenticamente quello che siamo, evitando di incorrere nei rigori della legge o di essere messi in manicomio, è il luogo in cui tradizionalmente è permessa (in scena) qualunque follia.”  A dirlo fu proprio Mario Mieli che nell’espressione teatrale trovò forse la sua forma più autentica.  Un pirandellismo estremo, nel riferimento alla “recitazione quotidiana”, in bilico fra teorizzazione e provocazione. Ed è attraverso la lente del teatro che osserviamo Mario Mieli: una figura di intellettuale complesso, agitatore culturale, politico dissacrante, controcorrente, avanguardista, spesso inarrivabile e in anticipo su temi e metodologie. 

Mario Mieli è stato una figura centrale nella storia dell’omosessualità, in molti campi. Fu tra i fondatori del FUORI, fra i sostenitori della sua autonomia milanese, collaborò con la rivista omonima con articoli sul FHAR e sulle esperienze in Marocco, e nel 1976 partecipò anche alla fondazione dei Collettivi Omosessuali Milanesi (COM), senza considerare le sue pubblicazioni che meritano uno spazio a parte. Una figura di intellettuale complesso e agitatore culturale e politico dissacrante, controcorrente, avanguardista, spesso inarrivabile e in anticipo su temi e metodologie, egli fu inoltre “tra i primi attivisti a mettere in scena, fin dalla metà degli anni Settanta, i temi del sesso e della sessualità.”

Dopo la nascita del collettivo Nostra Signora dei Fiori portò in scena La Traviata Norma, ovvero vaffanculo… ebbene si! che diede il via alla stagione del “teatro frocio” e alla nascita di nuovi collettivi come il KTTMCC (Kollettivo Teatrale Trousses Merletti Cappuccini e Cappelliere). Inoltre, insieme all’esperienza del collettivo Immondella Elusivi (con Questo spettacolo non s’ha da fare: andate all’inferno! del 1977) e a una parentesi individualista, forse più affine al suo carattere, ma meno memorabile delle altre (il monologo Ciò detto, passo oltre del 1981) sperimentò e mostrò pubblicamente una via personale per fondere i mezzi espressivi del teatro con le istanze della lotta politica. Non fu il solo, in quegli anni, ma fu certamente un esponente volitivo e iconico. Se i suoi testi a distanza di anni ancora mantengono la stessa incisività e rendono la misura dell’intellettuale, è invece difficile oggi immaginarsi l’effetto delle sue performance, se non attraverso copioni, recensioni, interviste e immagini che sono arrivati fino a noi

I copioni, in particolare quello della Traviata Norma, fissano un testo che però non è necessariamente immagine fedele dello spettacolo. Manca quindi una parte essenziale in un discorso basato sullo spettacolo: voce, gesto, rapporto con lo spazio e con le persone che lo abitano. 

Si può ovviare con le immagini che, in qualche modo, riportano alcuni di questi dettagli. Ma le immagini fissano anch’esse, una volta e per sempre, una attitudine di Mario Mieli in certe situazioni, non la loro molteplicità né l’energico trasfondersi di una nell’altra senza soluzione di continuità. E pur lasciando trasparire il velo di ironia beffarda o di perfida consapevolezza al di sotto dell’accadimento teatrale, o meglio performativo, non riescono tuttavia a colmare le mancanze di un atto completo e molteplice come doveva essere quello di Mieli in queste occasioni: “Dopodiché sono sceso e ho fatto un gioco della verità: chiedevo a tutta la gente di dire la prima cosa che gli veniva in mente e di porla col punto di domanda in maniera tale da creare una circolarità nel discorso. Così si è creato un discorso tra tutti; io intervenivo ogni volta che sentivo che gli altri non avevano immediatezza espressiva, colmando le lacune così che si è creato veramente un gioco, molte persone sono rimaste fino alle sei e mezza di mattina, cosa che è rara. Non succede mai, la prima volta era durato mezz’ora […]”. Spazio, tempo e azione sono variabili della disposizione d’animo e dell’umore del protagonista e del pubblico. Un atteggiamento, impossibile per una situazione di “teatro ufficiale”, che però diveniva la “norma” per i collettivi e le occasioni di incontro e confronto nate in seno alla Comunità LGBT+. 

È interessante notare come questa attitudine performativa poteva manifestarsi in ogni luogo, perfino in treno, a conferma dell’estensione della teatralità alla vita e viceversa: già “nel 1975 […] Cristians Descamps e Jean-Paul Aron sottolineano l’esistenza di un rapporto in qualche modo privilegiato fra teatralità e omosessualità. In particolare l’idea della festa, idea che nella società moderna assume valore trasgressivo rispetto al teatro ufficiale”. La teatralità quotidiana della comunità omosessuale, come il travestimento, l’ambiguità verbale fra i generi e persino il camp, divenne dunque un collante fra vita e teatro. Un ponte fra esperienze biografiche e artistiche come “mezzo di critica dei valori ufficiali della società”.

Se teatro e vita coincidono, si fa strada, nelle idee di Mieli, anche un collegamento ulteriore fra attore e rivoluzione che è costituito dal masochismo stesso insito nella messinscena:  “L’attore è un masochista, perché l’attore fa cose che per essere fatte necessitano di un certo amore per la sofferenza. Ad esempio, non so, l’attore rischia costantemente di sputtanarsi. […] Se una persona libera il proprio masochismo, non ha più paura di sputtanarsi. […] Liberare il proprio masochismo permette anche di liberare le tendenze sadiche collaterali e di fare degli esseri umani dei rivoluzionari.” 

Le idee di Mieli sul teatro e l’arte dell’attore – mai sistematizzate, ma perfettamente chiare sebbene, in qualche modo, aforismatiche – prendono le mosse proprio dal principio di norma e dalla frattura che si crea con essa e con la società che la rappresenta. Forse per questo l’elemento di rottura degli schemi resta più esplosivo e unico ne La Traviata Norma, perché il presupposto di quella drammaturgia consiste nel sovvertimento di un pensiero sociale e politico insieme a una struttura scenica tradizionalista. Si rompe la consuetudine “fingendone” un’altra e, grazie a questo, si veicola un discorso rivoluzionario non solo nei temi, ma anche nei modi. Il “gioco” teatrale diviene allora quello di sovvertire le norme sceniche con ironia, in un luogo che lo permette, ridisegnando i limiti normati a propria immagine. Una presa di distanza da un patto sociale, sostanzialmente, che Mieli riassume così: “Se nella società in cui viviamo la recita è la norma, perché tutti quanti da quando si alzano il mattino fino a notte recitano sempre una parte, il teatro è il luogo in cui è possibile manifestare autenticamente quello che siamo evitando di incorrere nei rigori della legge o di essere messi in manicomio, è il luogo in cui tradizionalmente è permessa (in scena) qualunque follia.” Un pirandellismo estremo, nel riferimento alla “recitazione quotidiana”, in bilico fra teorizzazione e provocazione.  Così, quel che avviene in scena dovrebbe essere il superamento delle inibizioni attraverso la loro stessa ammissione, grazie a due mezzi a disposizione dell’attore: trucco e costume. Una trasformazione che, partendo dall’esteriorità, punta a modificare nel profondo l’interiorità incidendo sulle debolezze generate da una società repressiva in cui l’effeminatezza, come molti altri atteggiamenti, viene condannata. “Se ci sono delle inibizioni, l’unico modo per disinibirsi è ammetterle.” Il che significa amare se stessi e realizzare un narcisismo che permetta il masochismo e, infine, la rivoluzione. I mezzi sono trucco e abito, afferma Mieli: “[…] ci sono anche gli strumenti, gli strumenti dell’attore: uno è il vestito. Il vestito ha due funzioni: quella di dare un sostegno all’attore, perché è importante che l’attore sia vestito in modo tale da piacersi quando fa questo spettacolo; l’altra è quella di rilassarlo.” E accanto ad esso il trucco, momento alchemico di auto-osservazione allo specchio per rafforzare le proprie energie, “il trucco è anche un invito che l’attore fa agli altri a guardarsi allo specchio.”

Questi strumenti teatrali, mezzo di illusione, risultano però un passaggio irrinunciabile – in teatro come nella vita – per raggiungere lo scopo finale: “realizzare l’androgino, cioè colui che non è né donna né uomo e che credo che, in misura diversa, sia in ogni essere umano.”

Nell’intervista ad Attisani, Mieli chiude le sue riflessioni con un’iperbole logica che è però ardentemente viva ed efficace. Nella forma si tratta di un ragionamento a tutti gli effetti, nella sostanza è un’illusione, che se pure fa calare a effetto il sipario sulle sue idee, apre voluttuosamente la porta del “camerino” del sé alle opportunità del futuro, quello che oggi viviamo: “Osare in inglese si dice to dare e si scrive dare: allora osare è dare; se l’attore osa regala agli altri, offre agli altri l’esempio del fatto che se anche loro osassero, se facessero un minimo sforzo, forse cambierebbero la loro vita. Questo è il discorso.” Un discorso che vale ancora oggi.

Foto e credits

  1. Tosetto, Sesso, carta e palco. La fabbrica del teatro nelle riviste LGBT+ «Fuori!», «Lambda» e «Babilonia» (1971-1984) da Mimesis Journal, Scritture della performance, 8, 1 – 2019 p. 65-94 
  2. Citazione dell’omonimo romanzo di Jean Genet, come indica Mauro Muscio nel suo articolo su Pride Magazine: https://www.pridemagazine.it/2020/04/22/la-norma-al-contrario/
  3. Il testo e lo spettacolo La Traviata Norma vede la luce il 9 marzo 1976 al Teatro il Quarto (oggi Teatro Arsenale) di Milano, in via Cesare Correnti. Lo spettacolo venne poi portato a Firenze e Roma. Di quest’ultima replica, presso il Teatro in Trastevere oggi scomparso, resta a testimonianza presso l’archivio del Circolo Mario Mieli la locandina originale. 
  4. Sulla periodizzazione del “teatro frocio”: S. Casi, Delirio diletto travestimenti e trasgressioni. Tracce per una interpretazione dei teatri gay in S. Casi (a cura di) “Teatro in delirio”, Bologna 1989; A. Pizzo, Il teatro gay in Italia. Testi e documenti, Accademia University Press, 2019.
  5. “Non si tratta di ingigantire il contributo di Mieli ma di ricollegarsi all’attualità della ricerca in un momento in cui gli studi di genere gli testimoniano una nuova attenzione. Penso cioè sia utile sottolineare la complementarietà tra Elementi di critica omosessuale di Mieli e l’impatto del teatro che praticò. Tuttavia non si teorizza qui l’esistenza di un teatro transessuale capitanato da Mieli. Si avanza la tesi che la sua «estetica transessuale», cioè l’idea che il travestitismo possa scardinare la separazione di genere, abbia suscitato l’attenzione di altri gruppi teatrali. Questo dovrebbe stimolare lo studio di altri collettivi e artisti che, come Alfredo Cohen e Ciro Cascina, conobbero il pensiero di Mieli senza per questo uniformizzarvisi, tracciando quindi percorsi personali all’interno della galassia dei movimenti di liberazione sessuale, percorsi che oggi potremmo definire queer.” in C. Tosetto, op. cit. p. 66.
  6. Si veda il catalogo della mostra fotografica “Come eravamo. La presa di coscienza del movimento omossessuale italiano 1976-1983” di G. Rondella, Firenze 2022. Alcuni scatti sono visibili anche all’indirizzo web:  http://www.wikipink.org/index.php/Categoria:Immondella_elusivi
  7. “Se uno apre la bocca e parla […] tutto questo diventa come un nuovo copione, un copione molto lungo, che può essere divertente o noioso, dipende dalla comunicazione che si crea fra l’attore e il pubblico.” in A. Attisani, L’attore è un masochista in “Scena”, III, 3/4, Estate 1978 p. 101.
  8. Pubblicato nel 1977 a Milano dalla casa editrice Erba voglio e nuovamente da Asterisco edizioni 
  9. Secondo una visione della storia generale del teatro inteso non tanto come scrittura drammatica quanto come rappresentazione e spettacolo che Franca Angelini ha perseguito fin dall’inizio dei suoi studi. A puro titolo esemplificativo cfr. Claudia Micocci, Franca Angelini, in “Bollettino di italianistica, Rivista di critica, storia letteraria, filologia e linguistica” 1/2015, pp. 143-144.
  10. Come si nota nell’immagine di G. Rondella colta durante lo spettacolo Questo spettacolo non s’ha da fare… (Foto di Giovanni Rodella, 6 dicembre 1977, in occasione del “Primo festival di cinema/musica/teatro gay”, organizzato a Parma dal “Collettivo Teatrale Trousses, Merletti, Cappuccini e Cappelliere”.
  11. Attisani, L’attore è un masochista in “Scena”, III, 3/4, Estate 1978 p. 104.
  12. “Un viaggio in treno generalmente viene considerato piuttosto noioso. Se invece il compagno rivoluzionario colma questa distanza diffondendo un discorso … Allora, come fa a diffonderlo? Ci sono due modi: o la solita menata della discussione intellettuale, e parla solo con alcuni, per cui esclude a priori certi altri che possono essere qualunquisti o reazionari, oppure è un attore e allora l’attore può dire “io sono un attore, se volete vi faccio qualcosa” e con questo pretesto smette di recitare e, mentre gli altri continuano a recitare, lui manifesta chi è.” Ivi, p. 105.
  13. “Oggi non ci sono i grandi autori di teatro, però ci siamo noi stessi e basterebbe che noi raccontassimo la nostra verità per poter fare dei discorsi teatrali che siano effettivamente  comunicativi.” Ivi, p. 101.
  14. Ivi, p. 105.  
  15. Ivi, p. 101. 
  16. Ivi, p. 103. 
  17. “Penso che l’importante sia arrivare in scena amando se stessi; con una realizzazione del narcisismo.” Ivi, p. 101.
  18. “Dal punto di vista degli studi di genere, il «teatro frocio» è particolarmente interessante perché utilizzò il travestitismo come mezzo per decostruire la tacita normalità eterosessuale opponendogli, nel caso di Mieli, l’esperienza di una «transessualità antidentitaria». In relazione a Mieli, questo approccio pratico e militante («politica dell’esperienza») è stato qualificato queer per sottolinearne la rimozione dalla «teoria queer accademica». Ecco quindi che lo studio della fabbrica del teatro sorta in queste riviste permetterebbe di risalire alle radici storico-politiche di una via queer che ci sembra eccedere il teatro di Mieli e che oggi è ancora trascurata.” C. Tosetto, op. cit., p. 65.
  19. Attisani, op. cit., p. 101. 
  20. Sul trucco come strumento di comprensione di sé ancora: “Il teatro può avere una funzione terapeutica, può servire a farci capire come in fin dei conti con un po’ di trucco possiamo piacere anche noi.” e “Per questo il trucco è importante, provvisoriamente è importante. Speriamo di poter fare domani un teatro in cui il miglior trucco siano le nostre effettive fattezze.” sempre in A. Attisani, op. cit.
  21. Attisani, op. cit., p. 102. 
  22. Ivi, p. 105. 

 

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