AUT Magazine

Di salute mentale e tabù di coppia

di Chiara Tesei
Conversazione corale tra Chiara Tesei, Ali Bravini, Elena Incatasciato sui tabù nelle relazioni.
Salute mentale joshua-fuller-_I5DYcYuo6c-unsplash

Al solo nominare la comunità LGBTQIA+  risuonano, nella mente di tutt3, slogan adornati di concetti come libertà, autodeterminazione, sospensione del giudizio… Sarebbe bello saperci, per l’appunto, liber3 e autodeterminat3 tanto quanto ci piace raccontarci. Purtroppo però, come ogni comunità, viviamo dentro di noi gli stessi bias e le stesse dissonanze cognitive di chiunque altr3.  E’ da queste radici, antichissime e fortemente salde nelle nostre coscienze, che prendono vita i tabù.  Fra i tanti, dei quali si potrebbe parlare a lungo, ne abbiamo scelti alcuni e ne abbiamo parlato con chi li vive sulla propria pelle tutti i giorni. Con Ali, Chiara ed Elena abbiamo parlato di pansessualità, poliamore e salute mentale. Temi apparentemente distanti, ma tutti ugualmente portati dalla società contemporanea e, purtroppo, dalla nostra stessa comunità, ad essere etichettati come temi scomodi, da nominare solo sottovoce. 

Chiara Tesei, 28 anni. Product e fashion designer. Attivista per i diritti lgbtqia+. Topic: salute mentale

Qual è la tua condizione di salute mentale?

Il mio psichiatra potrebbe rispondere con un A4  pieno di parole lunghe e difficili da pronunciare. Io preferisco dire semplicemente che Chiara bambina non se l’è passata benissimo e Chiara grande oggi, con tanta terapia e un po’ di pasticche dopo, si sta rimettendo in piedi. 

Com’è stato spiegare all3 tu3 partner la tua condizione di salute mentale? 

È stato goffo, da entrambe le parti. Da parte mia, c’era la paura di farla scappare a gambe levate all’idea di avere accanto una persona che, ogni tanto, avrebbe avuto reazioni all’apparenza inspiegabili a cose considerate nella norma. Molto degli strascichi dei miei traumi ha a che fare con la sfera sessuale. Come lo spieghi alla donna che ami che un gesto, una carezza, potrebbero far scaturire una crisi di pianto imbarazzante e mocciolosa? Da parte sua tutti questi pensieri non c’erano, ma c’era tanta paura di farmi del male. Oggi ci scherziamo, sulle mie reazioni, sui miei tic. Sono diventati parte del nostro quotidiano. 

In che modo questa impatta, e quanto, i tuoi rapporti? 

Anni fa avrei mentito e avrei risposto che non impattano affatto. Oggi, grazie a tanta tanta terapia, posso dire che impattano, e anche un bel po’. Uno dei miei sintomi sono delle stereotipie, movimenti ritmici scaturiti da situazioni che mi provocano ansia. Sono in grado di contenerli con chi conosco poco, ma quando voglio instaurare un rapporto più stretto, o semplicemente quando sono stanca di nasconderli, so di doverne parlare apertamente. Con i miei amici più stretti però questi miei “tic” sono diventati quasi una mascotte del nostro tempo insieme. C’è chi ha il suo preferito ed esulta quando si fa vivo dopo un po’ di tempo. Questa modalità di approccio mi ha aiutata tanto ad accettare questa parte di me. 

Si può parlare di coming out anche riferendosi alla salute mentale?

Assolutamente sì. 

Quali sono le similitudini e quali le differenze?

Ad oggi vedo molte più similitudini che differenze. Sono entrambe azioni profondamente personali che però ti portano a mostrare delle parti di te stessa che la società ci invita a nascondere. Entrambe richiedono non poco coraggio nel farle, e implicano la possibilità che l’altr3 scelga di allontanarsi. Forse l’unica differenza è quel vago sentore di pena che aleggia quanto si fa coming out sulla propria salute mentale. Nulla di diverso però rispetto a quello che succedeva con gli altri coming out una decina di anni fa. 

Senti che l’argomento sia trattato col giusto peso al giorno d’oggi?

Oggi se ne parla molto e, a parer mio, forse con poca cognizione di causa. Oggi è comune l’idea che “infondo un qualche disturbo ce l’abbiamo tutt3”. Sento spessissimo termini medicalizzati utilizzati in contesti impropri, come se aver sofferto e portarne addosso i segni fosse equiparato o equiparabile al proprio modo di allacciarsi le scarpe. 

Com’è cambiato negli ultimi anni? 

Da una decina di anni a questa parte, per fortuna, c’è molto meno stigma, soprattutto sull’intraprendere un percorso terapeutico. Abbiamo finalmente capito, o siamo molto vicini a capire, che in terapia non ci vanno i matti. Che poi, che vuol dire matti? 

Ti senti accolta dall3 partner riguardo questo tema?

Moltissimo. É lei a bacchettarmi quando mi scordo un farmaco e a strapparmi un sorriso quando il mio disturbo mi fa passare dei brutti quarti d’ora. 

E dalla comunità? 

Purtroppo non quanto vorrei. Per il discorso del “siamo tutti un po’ disturbati”, spesso non mi sono sentita presa sul serio nel parlare di me. 

Cos’è il minority stress? Come impatta sul tuo essere parte della comunità e nell’avere problemi di salute mentale? 

Il minority stress è un fenomeno che fa sì che l’incidenza di disturbi mentali e, in generale, di una salute mentale non al top, sia maggiore fra le persone della comunità. Questo avviene a causa delle pressioni e delle dinamiche della società in cui viviamo, che ci rende bersagli facili per, fra le altre cose, angherie più o meno velate e abusi più o meno gravi. Per quanto riguarda me, il mio disturbo ha fatto sì che per lungo tempo fossi consapevole solo di una parte del mio orientamento sessuale, probabilmente come meccanismo di difesa. 

Le tue relazioni romantiche/platoniche fungono da rete di supporto riguardo alla tua salute mentale? Se sì, in che modo?

Moltissimo. La mia compagna è la mia roccia e i miei amici, con le loro reazioni ai miei racconti, mi hanno aiutata ad elaborarli. Per non parlare del fatto che alcuni miei comportamenti fuori dalla norma sono diventati dei veri e propri “comic relief” nel nostro gruppo più stretto. A volte su certe cose ci si può solo ridere su, e va bene così. 

Quali fonti ritieni valide sul tema della salute mentale e in particolare sulla tua problematica? 

Mi sento di dire che, in generale, il world wide web non sia il luogo ideale per informarsi, se si è totalmente scevri di un argomento. Consiglio sempre, per chi sospetti di avere uno specifico disturbo, di contattare un3 pricolog3 o un3 psichiatra prima di lanciarsi in auto-diagnosi dai nomi spaventosi. Per quanto riguarda chi sa di avere un disturbo, io mi sono trovata bene con alcuni gruppi Facebook sulla tematica, dove chi ne soffre si racconta. Fa davvero bene non sentirsi soli, esattamente come avviene nella comunità lgbtqia+.

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