AUT Magazine

Basta un pezzo di carta (?)

di Ali Bravini
Tabù di genere e percorsi trans: la necessità di un cambio radicale.
Foto di Raphael Renter Raphi
Foto di Raphael Renter Raphi

In vari paesi, come Malta, Belgio, Lussemburgo (e in Germania, se dovesse passare la nuova legge proposta dalla maggioranza di governo) per intraprendere il percorso di transizione basta un foglio: un consenso informato che garantisce l’autodeterminazione del singolo e della sua identità di genere. Un solo pezzo di carta, allora, potrebbe mettere fine a una serie di abusi, umiliazioni e discriminazioni a cui fino adesso siamo statз sottopostз. Perché, allora, non cerchiamo di allinearci agli standard internazionali? Sostituire la trafila psichiatrica con un consenso informato non vuol dire che il supporto psicologico e psichiatrico non sia spesso necessario per chi decide di intraprendere il percorso, ma c’è un’enorme differenza tra l’obbligo di sottoporsi ad una pesante patologizzazione del proprio essere e il supporto che uno Stato dovrebbe offrire, in maniera accessibile a chiunque, a chi sta andando incontro a dei cambiamenti importanti nella sua vita.

Secondo gli studi dell’Istituto Superiore di Sanità (dati 2022), le persone trans* in Italia sarebbero circa 400mila, circa lo 0,6% della popolazione, una stima al ribasso se pensiamo alla difficoltà nel fare coming out ed affermare al mondo la propria identità di genere.

Se il tasso di felicità e benessere di un paese si misurano in base a come vengono trattate le minoranze, la situazione italiana è desolante. Tra la popolazione trans* e non binaria, infatti, le ricerche ci restituiscono un dato allarmante: circa il 40% delle persone trans* soffre di depressione, con un tasso fino a dieci volte più alto rispetto alla popolazione generale, una percentuale che sale al 60% nella popolazione non-binaria. A tutto questo si aggiunge il triste primato italiano per vittime di transfobia in Europa nel 2022: Roma è la città più violenta ed è elevatissimo il tasso di suicidio, soprattutto tra i minori. Non possiamo non pensare a questa condizione senza considerare l’enorme tabù che nel nostro paese vige intorno alla salute mentale e alle neurodivergenze, così come sul suicidio, un argomento che si tocca a malapena, si sfiora; tra l’altro la stampa ne parla poco e male e il fatto, alla fine, rimane lì per noi ad appesantire il numero delle vittime, delle nostre sorelle che non hanno più voce.

Questa situazione è causata ed esasperata da una società patriarcale fondata solidamente sul binarismo di genere uomo-donna, che non ammette l’esistenza di una realtà terza e a malapena tollera chi quel binario cerca di scavallarlo, di attraversarlo. Le persone trans* e non binarie sono percepite come una minaccia per questo ordine costituito, una falla nel sistema. 

La mancanza di formazione del personale pubblico e privato sui temi specifici riguardanti la vita delle persone trans* in ambienti fondamentali come istruzione e sanità ci rendono sempre più fragili ed emarginatз; il rifiuto e l’esclusione da parte della famiglia e del gruppo dei pari alza il concreto rischio di diventare homeless. Una legge di 41 anni fa, e che speriamo prossima alla pensione, l’umiliante ed infinita odissea del percorso di affermazione di genere completano il quadro; la visione della persona trans* come disturbata mentalmente o sessualmente, porta a un pericoloso allontanamento dal mondo sanitario, psicologico e psichiatrico da parte di chi è traumatizzatƏ o spaventatƏ a priori dal dover fare coming out e subirne le discriminazioni annesse. Poca prevenzione, pochi screen oncologici e pap-test, incostanza nei percorsi psicoterapeutici e psichiatrici, uno stile di vita meno salutare e tanto altro: questo il risultato del minority stress, dei continui episodi transfobici e della transfobia interiorizzata.

Ma allora cosa si può fare, cosa si dovrebbe fare per invertire la rotta? Oltre alla formazione del personale pubblico, abbiamo sicuramente bisogno di un cambio radicale nelle scuole, dove introdurre un diverso tipo di educazione (sessuale, sentimentale, alle differenze, al consenso) fin dalla scuola elementare: è necessario, anche per combattere la cultura dello stupro, la misoginia e la trans-misoginia. A livello nazionale, negli ultimi anni, non abbiamo visto altro che tiepide proposte al riguardo: nonostante si consigli un’educazione sessuale e al consenso già nella scuola elementare, in Italia il tema rimane un enorme tabù. L’educazione, sia sessuale che alle differenze, rimane un compito appaltato alle famiglie, poco o per niente in grado di sopperire all’enorme importanza che invece ricopre a livello sociale; il resto, subappaltato alla pornografia maschilista.

Ma oltre ad obiettivi di lungo termine, forse, per iniziare a cambiare e migliorare la vita delle persone trans* e per iniziare ad abbattere questi tabù, basterebbe una nuova legge e un pezzo di carta.

Al momento, in Italia, per iniziare la TOS (Terapia Ormonale Sostitutiva), per avere accesso ad eventuali operazioni chirurgiche e per ottenere la rettifica anagrafica (dove ancora, però, non è comunque riconosciuta la possibilità di inserire un genere “altro” rispetto a M o F), è necessario innanzitutto avere una perizia psichiatrica. Dopo il coming out “sociale” (totale o parziale: in ambito lavorativo, amicale, familiare, etc.), ecco che quindi ci si ritrova davanti al primo grande scoglio: la relazione di “disforia di genere”, passo necessario e fondamentale per il resto del percorso. Va innanzitutto detto che il percorso di affermazione di genere, e tutto l’iter, non è lo stesso per tutte le persone, e va adattato a seconda delle esigenze individuali; ad es. non tutte le persone trans* e/o non binarie vogliono sottoporsi ad operazioni chirurgiche e anche gli obiettivi a livello di terapia ormonale cambiano da persona a persona. 

Questa terminologia sta iniziando, finalmente, a cambiare: la disforia di genere, classificata da sempre tra i disturbi mentali, nell’ICD-11 (International Classification of Diseases) del 2018 viene depatologizzata in “incongruenza di genere” e spostata in una nuova sezione dedicata alla salute sessuale. L’incongruenza di genere viene quindi definita come una “condizione caratterizzata da una significativa e persistente incongruenza tra identità di genere e sesso assegnato alla nascita”. Anche se quindi, a livello internazionale, le persone trans* non sono più considerate “malate mentalmente”, rimane una forte patologizzazione all’interno del percorso, soprattutto da parte di medichз, psichiatrз e personale sanitario in generale; in più, nella maggior parte dei casi, si continuano a firmare relazioni con la dicitura di “disforia di genere”, che ora si usa principalmente per indicare i casi in cui l’incongruenza sia avvertita come un forte disagio fisico. Questa, però, è un’esperienza del tutto personale, che si distingue in disforia fisica e sociale e che non tutte le persone trans* vivono ed esperiscono nelle stesse modalità; sarebbe anche ora, direi, che si smettesse di guardare alle persone trans* come in perenne sofferenza, anime in pena vittime di una genetica maligna. Il tema della rappresentazione, importante per quanto possa sembrare un più piccolo tabù, sta pian piano iniziando ad aprirsi alle nuove sfumature del genere, anche se spesso e volentieri è ancora in mano al rainbow-washing delle grandi piattaforme di streaming; solo a marzo 2023 usciva il “Propedeutico manifesto della rappresentatività” (sottoscritto in Italia dall’associazione trans* Libellula) come protesta contro la scelta, per i ruoli trans*, di persone cis nel teatro e nel cinema.

Foto di Shane j.

Il tabù che regna sulla sessualità e sul genere ci porta anche alla mancanza di informazione pubblica su quali e quanti sono i servizi e sul funzionamento del percorso, e che porta naturalmente le persone trans* a scoprire tardi le possibilità esistenti di migliorare le proprie condizioni di vita; il rapporto con lз psichiatrз (fondamentalmente delle persone cis) diventa un enorme ostacolo da affrontare. Come già detto, la mancanza di preparazione porta ad una serie di atteggiamenti transfobici e micro-violenze continue (ad esempio, misgendering e deadnaming) e conseguentemente ad una difficoltà ad esporsi da parte della singola persona, fino all’allontanamento e al rifiuto di sottoporsi a queste visite. Un’assenza fondamentale è quella di servizi pubblici che rilascino relazioni a costi contenuti e calmierati, vista anche, in media, la fragile situazione economica di tante persone trans*. Ma anche se, nel migliore dei casi, si trovi unƏ psichiatra e i soldi per poter pagare la relazione, ci si trova di fronte ad una batteria di test, spesso antiquati, inadeguati e umilianti quanto gli incontri; anche dove ci si trovi di fronte a professionistз apertз, informatз e non escludenti, questз sono comunque obbligatз a somministrare dei test che riguardano anche la sintomatologia dellз pazienti, necessario per poter convincere un giudice ad approvare i passi successivi. 

Penso sia abbastanza chiaro da dove provenga il senso di umiliazione a cui ci si deve, obbligatoriamente, sottoporre: in sostanza, ci si deve rimettere a una persona cis che dovrà decretare se sei o meno “abbastanza trans”, decreto che giunge alla fine di una serie di domande e test molto personali, che possono riguardare i genitali della persona in questione, le proprie abitudini sessuali (ad es. quante volte ci si masturba…) e che poco hanno a che vedere con la propria identità di genere.

Ovviamente, al di là dell’esperienza personale, queste situazioni cambiano molto a seconda del contesto in cui ci troviamo: regione per regione, nord rispetto al sud, città rispetto alla provincia (dove spesso certi servizi non esistono proprio) e, purtroppo, da professionista a professionista. Se in città più grandi troviamo qualche servizio in più e più aggiornato, esistono realtà diverse e più “arretrate”, dove questi tabù rimangono quasi del tutto inviolabili: da qui escono esperienze discriminatorie sotto più fronti e che costringono le persone a dover abbandonare casa, città, regione o persino Stato. Un esempio concreto è dato dal rifiuto di vari centri del centro-sud di redigere la relazione a persone trans* autistiche, scaricando la “confusione” di genere come portato dell’autismo, contribuendo ad infantilizzare le persone nello spettro e invalidando la loro autodeterminazione.

Una volta ottenuta, faticosamente, la relazione si può iniziare il trattamento ormonale, considerato ormai salvavita e completamente gratuito se ci si rivolge, con il piano terapeutico, al presidio farmaceutico della propria ASL di riferimento; con esso parte l’infinito iter burocratico per avere l’autorizzazione per le operazioni chirurgiche e la rettifica anagrafica da parte del tribunale di residenza, che può durare anni e che, anche qui, è fin troppo legato alla singola sentenza del singolo giudice. 

Allora, questo pezzo di carta? In vari altri paesi, come Malta, Belgio, Lussemburgo (e in Germania, se dovesse passare la nuova legge proposta dalla maggioranza di governo) per intraprendere il percorso basta un foglio: un consenso informato che garantisce l’autodeterminazione del singolo e della sua identità di genere. Un solo pezzo di carta, allora, potrebbe mettere fine a una serie di abusi, umiliazioni e discriminazioni a cui fino adesso siamo statз sottopostз. 

Secondo gli standard di cura del WPATH (World Professional Association of Transgender Health), per poter accedere al trattamento ormonale devono essere soddisfatti questi criteri: “incongruenza di genere marcata e stabile; capacità di fornire il consenso informato al trattamento; se sono presenti problemi di salute fisica e/o psicologici potenzialmente interferenti con l’esito della terapia, questi devono essere presi in carico; comprensione degli effetti della terapia ormonale sulla fertilità e discussione delle possibilità di preservazione della fertilità”. Perché, allora, non cerchiamo di allinearci agli standard internazionali?

Sostituire la trafila psichiatrica con un consenso informato non vuol dire che il supporto psicologico e psichiatrico non sia spesso necessario per chi decide di intraprendere il percorso, come scritto appunto anche dal WPATH: ma c’è un’enorme differenza tra l’obbligo di sottoporsi ad una pesante patologizzazione del proprio essere e il supporto che uno Stato dovrebbe offrire, in maniera accessibile a chiunque, a chi sta andando incontro a dei cambiamenti importanti nella sua vita. Inoltre, abbiamo un serio bisogno di includere le esigenze specifiche delle persone non-binarie, ad esempio per quanto riguarda il microdosing ormonale, cercando di personalizzare il più possibile la TOS.

Davanti a queste proposte si alzano spesso delle critiche, soprattutto per quanto riguarda i limiti di età per l’accesso alle terapie e/o alle operazioni chirurgiche: si può iniziare a 14, a 16 o tocca aspettare la maggiore età? È importante qui fare delle considerazioni generali, sia dal punto di vista psicologico che biologico. Se la pedagogia ci dice che lз bambinз iniziano ad avere consapevolezza dei propri caratteri sessuali e di quelli altrui già, circa, all’età di 7 anni, l’esperienza ci restituisce una realtà fatta di ragazzз adolescenti e preadolescenti già consapevoli della propria identità di genere. Prendiamo quindi in considerazione due fattori importanti, la pubertà e la depressione. La terapia ormonale consiste nella somministrazione di ormoni femminilizzanti (estrogeni) o mascolinizzanti (testosterone) e dai bloccanti degli ormoni: questo percorso, soprattutto all’inizio, è del tutto reversibile, smettendo semplicemente l’assunzione dei farmaci e lasciando che il corpo riproduca naturalmente gli ormoni che ha sempre prodotto. La terapia consigliata in questa fascia d’età (diciamo 14-16 anni) prevede infatti inizialmente dei bloccanti degli ormoni per “ritardare” la pubertà: la pubertà e l’adolescenza possono essere un periodo difficile per tuttз noi ma può essere devastante per chi sente già che il proprio corpo verrà stravolto in direzione contraria al proprio sentire, alla propria identità di genere. E qui rientra in gioco la depressione: come abbiamo detto, siamo più portatз alla depressione e al suicidio rispetto al resto della popolazione, soprattutto tra i minori, fetta della popolazione che, rispetto a decenni fa, grazie ai social e alla caduta di certi tabù, sono sempre più precocemente consapevoli della propria identità di genere.

Contrariamente alla retorica destrorsa e transfobica del “traviare lз bambinз” (le stesse identiche accuse che arrivavano nei confronti degli omosessuali decenni fa…), cercare di far iniziare il percorso il prima possibile è una questione di prevenzione del suicidio. In più, ritardare la pubertà e/o intanto iniziare la terapia ormonale prima dello sviluppo completo, porta a risultati nettamente migliori nelle modifiche del corpo. Questo dato è particolarmente vero soprattutto per quanto riguarda la terapia femminilizzante o al contrario per bloccare la crescita del seno, solitamente grande fattore di disagio e disforia per le persone AFAB (Assigned Female At Birth). Se il consenso dei genitori è necessario quando parliamo di preadolescenti, dovremmo iniziare a smettere di considerarlз come incapaci di volere e di una consapevolezza più o meno profonda del proprio io e di come si vuole apparire: l’affermazione di un tribunale che possa risolvere il conflitto minore trans*-genitori mi sembra fondamentale. Aspettare anni e anni per la terapia, magari con il rifiuto costante dei genitori, non è come aspettare i diciotto anni per farsi un tatuaggio: significa vedere il proprio corpo che cambia nei suoi aspetti sessuali primari e secondari, mutamento che può portare a una disforia accentuata, alla difficoltà ad affermare il proprio sé, con possibile sviluppo di disturbi mentali e fenomeni di autolesionismo.

Un discorso diverso riguarda l’accesso alle operazioni chirurgiche che chiameremo “primarie”, quelle riguardanti il seno e/o i genitali. Lasciando intatta la sacrosanta autodeterminazione della singola persona e il suo diritto a sottoporsi consensualmente a qualsiasi operazione chirurgica si voglia, c’è comunque una grande differenza tra la terapia ormonale reversibile e delle operazioni chirurgiche potenzialmente molto pericolose e non reversibili. Qui è ovviamente più delicata la situazione del consenso da parte dei genitori nei confronti del minore. Personalmente, sono convinta che in una società non fondata su un rigido binarismo di genere, meno sessualizzata e non ostracizzante nei confronti delle persone dal genere non conforme, cadrebbero tutte quelle prescrizioni di come debba essere una donna e come debba essere un uomo affermando e riconoscendo tutte le varianti possibili dell’identità di genere degli esseri umani. Cadute queste, ci sentiremmo meno a disagio con il nostro corpo, con il nostro essere e l’accettazione, propria e altrui, ci porterebbe tuttз ad avere meno quel sentimento di urgente bisogno di stravolgere il nostro corpo.

Intanto? Intanto abbiamo bisogno di un cambio radicale, che permei la società tutta, a partire dalla famiglia, la scuola, la sanità; abbiamo bisogno di abbattere un tabù dopo l’altro, dalla sessualità alla salute mentale; abbiamo bisogno di essere vistз, riconosciutз e riconosciuti i nostri bisogni, le nostre esigenze specifiche; abbiamo bisogno di formazione del personale pubblico e privato con cui ci rapportiamo tutti i giorni; abbiamo bisogno di depatologizzare il percorso e le nostre vite, di de-medicalizzare il corpo delle persone trans*; abbiamo bisogno di eliminare un iter burocratico umiliante e respingente. Abbiamo bisogno di tante cose, sì, ma possiamo iniziare da un pezzo di carta.

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Corpi grassi: tabù e identità nella comunità LGBTQIA+

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Ali Bravini
Basta un pezzo di carta (?)

Tabù di genere e percorsi trans: la necessità di un cambio radicale.

Luca Ragazzi
La sessualità tra gli anziani nel cinema: oltre il tabù 

Desiderio e intimità: rappresentazioni della sessualità tra anziani, oltre gli stereotipi. Ecco un’antologia dei film che trattano (bene) l’argomento. 

Egizia Mondini e Alessandro Michetti
Lo stigma della depressione

Intervista al Trio Medusa, ambassador della campagna “La Depressione non si sconfigge a parole”.

Valeria Scancarello
Il “peso” dello stigma: centimetri della mia storia

Affrontando la grassofobia: una riflessione personale sulla società e l’accettazione di sé.

Egizia Mondini
L’editoriale – Nuove mappe per orientarsi

C’è venuta voglia di indagare nuove geografie, zoomando sui dettagli, sbirciando dentro i vicoli delle nostre sfumature, vedendo fino a che punto ci siamo spinti alla scoperta di nuovi territori, ridisegnando la mappa del nostro ecosistema. Ne è emersa una nuova cartografia della comunità lgbtqia+, e non solo, intrigante e stimolante, ma con confini mai troppo definiti. Non vi resta che sfogliare l’atlante insieme a noi.

Isabella Borrelli
Il linguaggio inclusivo fa schifo

“Vi inventate sempre nuove parole” è l’accusa più diffusa e fessa mai fatta alla comunità lgbtqia+. Il linguaggio neutro ha provato a proporre nuove mappature che scardinassero il maschile universale. L’utilizzo di linguaggi neutrali e non binari ha avvistato una nuova terra del linguaggio queer. La rottura del paradigma, della norma e del cambiamento è invece non solo qualcosa a cui aspirare ma una pratica politica. E’ anche attraverso il cambiamento e sovvertimento del linguaggio che pratichiamo la nostra dissidenza. E affermiamo la nostra esistenza. 

FRAD
Non si può più dire niente?

Sembra l’argomento del momento, anche in bocca a chi ancora fa fatica a capirne il senso. Un senso prima ancora umano che politico. E allora noi, abbiamo pensato di prenderci anche un po’ in giro. Per non farci dire che ci prendiamo sempre e solo troppo sul serio. E chi meglio di FRAD poteva riuscirci? Ma davvero con noi persone LGBQTQIA+non si può più dire niente? E non si può scherzare? Per fortuna ci sono le vignette di Frad.

Antonia Caruso
È davvero inclusivo parlare inclusivo? 

Abbiamo iniziato davvero a credere che cambiando le parole sarebbe cambiato il mondo. Se non ché, il resto del mondo continua a non saper né leggere né scrivere e la lingua del futuro non sarà sicuramente l’italiano.

Jennifer Guerra
Il movimento trans-femminista oggi in Italia

Non solo grandi città. Dalle Case delle donne ai centri antiviolenza; l’importante rete di supporto della rete transfemminista italiana cresce nei piccoli centri con oltre 150 gruppi e iniziative.

Gayly Planet
Le nuove geografie del turismo LGBTQIA+

Dai Grand Tour ai Gay Camp: il turismo LGBTQIA+ in Italia racconta la storia della nostra comunità, dall’Ottocento fino ai giorni nostri.

Vincenzo Branà
L’importanza dei pride di provincia

Piccoli centri, grandi Pride: dal caso di Latina a quello di Campobasso, dalla crescita di Ragusa all’abbraccio orgoglioso di Lodi. E se la politica LGBTQIA+ ripartisse da qui?

Alessia Laudoni Moonday_yoga
Mappe corporee: un viaggio affascinante di connessione e consapevolezza 

Chakra e identità, la connessione tra corpo e spirito è un viaggio di consapevolezza e integrazione che porta allo svelamento del proprio sé al resto della comunità.

Livia Patta
Una mappa verso il Sé: le costellazioni familiari

Accettazione e identità, liberando il passato e imparando dal lessico familiare. Il potere dei legami relazionali cambiano vite, costruiscono comunità, generano galassie.

Luca Ragazzi
Guida per orientarsi nelle piattaforme on demand

Se parliamo di mappe per orientarsi, allora sappiamo bene quanto possa essere utile una guida per non perdersi nei meandri labirintici e infiniti dei film a tematica lgbtqia+ delle library delle piattaforme on demand. Questa la nostra.

Alessandro Michetti
Via Balilla, è così che dovrebbe andare il mondo

Esplorando uno dei quartieri più accoglienti della comunità LGBTQIA+ a Roma, protagonista del documentario “Noi qui così siamo” di Maurizio Montesi.

Collettivo “La Gilda del Cassero”
Geografie queer dal pianeta nerd

La Gilda di Bologna da anni promuove i giochi da tavolo come strumento di impatto sociale e politico per le persone LGBTQIA+, battendosi per una giusta rappresentazione e decolonizzazione degli immaginari ludici.

Mohamed Maalel
Palermo è la mappa del mio corpo

Un diario pieno di coordinate alla ricerca di ricordi, aspettative e identità, nella capitale più LGBTQIA+ della Sicilia. Il racconto intimo e personale di un pugliese, per metà tunisino, che lascia la sua terra per un posto tutto nuovo: la Palermo di oggi.

Nicolò Bellon
Guida agli uomini passati di qua

Tra le note di Milva e Dalla, tra le strade di Roma e Biella, il giovane scrittore Nicolò Bellon disegna una mappa di ricordi, sentimenti e malinconie.

Alessandro Michetti
Chieti, la provincia che vive in mille città

Vivere l’identità LGBTQIA+ nei piccoli centri e il bisogno di spazi sicuri e protetti dall’omotransfobia: un’intervista al consigliere Arcigay di Teramo, Fabio Milillo.

Edoardo Tulli
Per una città diversa in una società di uguali

Una lotta che dal 1994 arriva a oggi: un progetto di riqualificazione per rompere i confini e accogliere la comunità del Palazzo Mario Mieli nel quartiere San Paolo a Roma.

Giacomo Guccinelli
Asessualità e aromaticismo. Identità politiche e narrativa dell’assenza

Le persone aroace, asessuali e aromantiche, sono identità che problematizzano, mettono in dubbio e si sottraggono da ciò che la maggioranza pensa sia normale all’interno delle dinamiche relazionali. Disegnando nuove geografie dei rapporti.

Simone Gambirasio
Corpi disabili, corpi invisibili

I luoghi di visibilità LGBTQIA+ sono davvero così accessibili per le persone con disabilità?

Antonia Caruso
Occhio non vede, cuore non vota

L’invisibilità si crea con l’esclusione dal campo visivo, è un processo attivo e selettivo per annullare l’essenza dell’altro. Ed è soprattutto all’interno della popolazione trans che troviamo un gatekeeping interno.

Stephan Mills
Il mio corpo intersex invisibile

Perché così poche persone conoscono la realtà intersex? E’ tempo di rendere più visibile una realtà ancora troppo poco conosciuta: quella dei corpi intersex. Un percorso di lotta per ottenere i cambiamenti desiderati e di accettazione degli aspetti che non vogliamo cambiare. 

Egizia Mondini e Alessandro Michetti
L’editoriale: Invisibili

Essere visibili è un atto politico, di autoaffermazione, autodeterminazione e affrancamento, ma anche un’urgenza esistenziale, oltre che di condivisione. Perché “fuori dalla collettività c’è solo la mitomania”. 

Aldo Mastellone
Comunità trans nello sport: quando rendersi visibili è rivoluzione

La situazione delle persone LGBTQIA+ nello sport agonistico. Intervista a Guglielmo Giannotta, Presidente di ACET, Associazione per la Cultura e l’Etica Transgenere.

Ambra Angiolini
Come la politica e l’economia sfruttano la nostra invisibilità

Far tornare le nostre diverse identità gli unici luoghi davvero interessanti da visitare, è la rivoluzione che dobbiamo mettere in atto.

Francesco Lepore
Sacerdoti omosessuali al bivio

Da una voluta invisibilità al bisogno di coming out. Anche in Vaticano.

Daniele Coluzzi
L’omosessualità nella letteratura italiana: una storia di invisibilità

Da Michelangelo a Tasso, come gli artisti hanno usato le loro opere per celebrare i propri amori.

Paolo Di Lorenzo
Il “cucciolo” che spaccò l’America in due

Il coming out di Ellen DeGeneres e una Hollywood piena di armadi che non fu più la stessa.

Loredane Tshilombo
Black Queerness: quando sei abituato a essere invisibile

Nella presunta visibilità queer conquistata c’è l’invisibilità delle persone non bianche: il dibattito politico e la sfida del rispetto sociale in una società che riesce a convivere con più di venticinquemila persone black and brown morte o disperse nel Mediterraneo negli ultimi dieci anni.

Luca de Santis
Come sta cambiando l’identità fascista

I simboli nostalgici si legano a felpe alla moda, gli smartphone branditi al posto di bibbie e crocifissi, spariscono le divise militari scoprendo corpi muscolosi e cappelli di pelliccia. “Etero Pride”, “All lives metters”, “Libertà di essere madri”: i nuovi fascisti si appropriano dei nostri riferimenti e delle nostre parole, per mostrarsi più accettabili ma mantenendo gli strumenti di sempre: violenza e oppressione.

Luca Ragazzi
Quando il cinema queer era invisibile, o quasi

Veloce rassegna dei film italiani che hanno contribuito alla lotta per i diritti LGBTQIA+.

Matteo Albanese
Bisessualità: un orientamento doppiamente al margine

Secondo la comunità gay e lesbica, i bisessuali sono uomini gay velati e le bisessuali donne etero opportuniste. Secondo la società eterosessuale le persone bisessuali sono ingorde e insaziabili a livello sessuale, più portate alla promiscuità e alla non-monogamia. Non c’è da stupirsi che il pensiero bisessuale sia praticamente sconosciuto in Italia. Più invisibilità di così…

Mohamed Maalel
Non sono più un uomo

Un racconto inedito che parla di multiculturalità, identità, invisibilità.

Ali Bravini
Fuori dai binari: una prospettiva che sfida le convenzioni di genere

Se un Dio esiste è sicuramente non binario. Allora chi siamo noi umani per pretendere di doverci descrivere come maschi o femmine? E’ necessario restituire consistenza a prospettive invisibilizzate da un binarismo imposto che da secoli caratterizza la nostra cultura e spesso anche la visione della nostra comunità LGBTQIA+.

Roberto Gualtieri
40 anni di storia nella città di Roma

L’obiettivo dell’Amministrazione romana è quella di rendere la città sempre più accogliente, giusta e in ascolto. Una sfida che deve essere vinta assolutamente.

Egizia Mondini e Alessandro Michetti
The Luxurian Age of Muccassassina

Intervista a Vladimir Luxuria, ex direttrice artistica di Muccassassina. Per scoprire come nasce un mito.

Antonia Caruso
In questa notte tutte le vacche sono gay

Chissà se a Mario Mieli avrebbe fatto piacere diventare mariomieli, martire, eroina, poeta e anche stencil. Antonia Caruso ha tratteggiato per noi un suo personalissimo ritratto, irriverente, ironico, punk, di quel Mario Mieli di cui portiamo il nome da 40 anni. Un Mario Mieli eccessivo ma mai eccedente. 

Monica Cirinnà
Unioni civili, divisioni politiche

Più che il percorso di una legge, un’epopea omerica, fatta di insidie, tradimenti e successi che alla fine hanno portato al (desiderato?) approdo. A ripercorrerlo insieme a noi è Monica Cirinnà.

Mario Colamarino
Il Mario Mieli è di nuovo Aut

Il Magazine del Circolo è tornato in circolazione, stavolta on line. Il Presidente del Circolo Mario Mieli, in veste di editore, ci spiega la spinta che ha portato a questo ritorno.

Isabella Borrelli
Si è fr**i anche per il culo degli altrə

Chi era Mario Mieli? L’intellettuale, il filosofo, lo scrittore, l’avanguardista? A proporci una sua rilettura è Isabella Borrelli, attivista lesbofemminista intersezionale.

Vanni Piccolo
Da AMOR al Mieli

Il Circolo Mario Mieli secondo Vanni Piccolo, presidente dal 1984 al 1990.

Deborah Di Cave
La storia di un circolo a cui devo anche un po’ la mia

La prima presidentessa nella storia del Mario Mieli ci racconta il suo Circolo.

Sebastiano Secci
Pride e Resistenza

Era il 2019 e gridavamo: chi non si accontenta lotta. A raccontarcelo, l’allora presidente Sebastiano Secci.

Rossana Praitano
Anniversario di rubino

Rosso come il rubino simbolo di quest’anniversario e come la passione per l’attivismo politico della ex presidentessa Rossana Praitano

Emiliano Metalli
Teatro di lotta: Norme, Traviate e Mieli on stage

Una retrospettiva su Mario Mieli drammaturgo. Perché sì, fu anche questo.

Emiliano Metalli
Mario Mieli autore, regista, costumista, scenografo, truccatore: qualcosa di magico

Osserviamo Mario Mieli attraverso la lente del teatro: una figura di intellettuale complesso, agitatore culturale, politico dissacrante, controcorrente, avanguardista, spesso inarrivabile e in anticipo su temi e metodologie. 

Francesco Paolo Del Re
Dalla Luna ai Faraoni, fotografando il mio amico Mario

Regista, autrice di documentari, giornalista: Maria Bosio era amica di Mario Mieli e l’autrice di alcune delle fotografie più famose dell’intellettuale. Questa è un’intervista esclusiva per Aut nella quale ci racconta un Mario Mieli inedito, da vicino.

Ilaria Di Marco
Una rivoluzione che ha ancora molto da dire

Dal 28 giugno al 30 luglio, alla Pelanda di Roma, la mostra RIVOLUZIONARI3 — 40 anni del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli. Ce ne parla la curatrice.

Egizia Mondini
L’editoriale

Siamo tornati a casa.

Chiara Sfregola
Orgoglio all’italiana

Siamo in marcia da quasi 50 anni ma la meta non l’abbiamo ancora raggiunta. Chiara Sfregola ripercorre per noi la storia del pride in Italia, attraverso le parole di chi queste manifestazioni ha contribuito a organizzarle, animarle e, in primo luogo, immaginarle.

Cristina Leo
Transgender: guerrier* senza corazza

“La pratica femminista dell’autocoscienza, del partire da sé, mi impone di parlare per me stessa, non per le altre e gli altri, ma semmai insieme alle altre e agli altri”.

Claudio Mazzella
Il Pride al tempo del Covid

Il Pride del 2021 fu quello del ritrovarsi, del guardarsi finalmente non più attraverso uno schermo o con la linea che cade continuamente. Tornavamo a toccare, stringerci e guardarci negli occhi.

Egizia Mondini
The Greatest Show Ever

Intervista a Diego Longobardi, direttore artistico di Muccassassina dal 2005.

Leila Daianis
Il colpo d’ala della libellula

È il 1978. Un nuovo paese, una vita nuova. Più facile? Decisamente no. Ma ho cercato di fare la differenza. E forse ci sono riuscita.

Imma Battaglia
La politica, la passione, il World Pride

Nel suo nome quasi un destino: Battaglia. Contro quello che ritiene ingiusto, a favore di chi non può difendersi. Ci racconta il suo più grande successo: il World Pride del 2000 a Roma.

Marilena Grassadonia
Sulla strada dei diritti

Il saluto e l’augurio di Marilena Grassadonia, Coordinatrice Ufficio Diritti LGBT+ di Roma Capitale.

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