Anna Claudia ha 34 anni, vive a Latina da sempre e se le chiedi, all’indomani del Pride che ha portato nelle strade oltre 10mila persone, se lo rifarebbe, si scioglie in un sorriso e ti fa uno sguardo languido, che tradisce tutta la stanchezza accumulata. Poi sospira e polverizza ogni dubbio: “Vabbè sì, è una soddisfazione troppo grande”. Perché il Pride a Latina – l’ex Littoria, città simbolo del ventennio fascista – è stato davvero un’impresa: “C’erano già stati in passato due Pride – spiega – ma erano presidi stanziali, dei sit-in. E proprio in occasione del primo dei due sono entrata in contatto con Arcigay”.
Da quel giorno ne è passata di acqua sotto i ponti e finalmente dalla manifestazione stanziale si è arrivati al corteo: “Avevamo molta paura: quella di Latina ci sembra da tempo una cittadinanza addormentata, che non reagisce agli impulsi. Perfino Lega e Fratelli d’Italia, che qui fanno il pieno di voti, hanno però i comizi deserti. Anche l’affluenza alle urne è bassissima e i giovani sognano di andare via. Sembra una città rassegnata, che non combatte”. Ma c’è anche tanta voglia di riscatto: “A molte persone – dice ancora Anna Claudia – l’immagine di Latina vista da fuori sta stretta. Il Pride è stato perciò la grande occasione di accogliere tutte quelle persone in un grande esercizio collettivo di risignificazione”.
Alla fine il Pride di Latina ha fatto dimenticare i timori della vigilia: “L’immagine che ricorderò più di tutte è quella delle ragazze che, una volta arrivata la manifestazione a Palazzo M, sono salite sulle statue delle seminatrici a ballare sventolando la bandiera trans. Mi sono detta: questa è politica”.
Quello di Latina, l’8 luglio scorso, è stato uno degli oltre 50 Pride che quest’anno hanno attraversato il Paese.
Dal 2014 in Italia esiste l’Onda Pride: le parate dell’orgoglio arcobaleno sono diffuse su tutto il territorio nazionale, ridisegnando la fisionomia e la geografia dei Pride.
Ci sono Pride enormi e minuscoli, coi tir amplificati o coi risciò a pedali. Ci sono quelli con gli sponsor e le bandiere di partito e quelli in cui sono banditi brand e simboli istituzionali. Perché i Pride non sono un format già scritto ma un seme che germoglia in un terreno, nutrendosi delle caratteristiche di quel luogo, assorbendone storia e pratiche. Si assomigliano tutti, certo, sono tutti espressione della stessa battaglia. Ma in ogni città il Pride è una rete con nodi diversi, che descrive alleanze, sintonie, equilibri.
Dei 53 Pride che hanno aderito all’Onda, 13 si sono svolti in città con meno di 50mila abitanti, 23 – quasi la metà – in città al di sotto della soglia dei 100mila abitanti.
Campobasso – con i suoi 49mila abitanti – appartiene al primo gruppo, quello dei Pride più piccoli. Il 30 luglio, per il Molise Pride, lì hanno sfilato migliaia di persone. “Oggi i Pride più importanti, quelli che cambiano la storia del Paese, sono quelli dei piccoli centri, delle piccole città nelle province, che si stanno moltiplicando”, ha detto Pietro Turano dal palco della manifestazione.
Il Molise ha realizzato il suo primo Pride nel 2018, ma da quella volta non ha più perso l’abitudine. Quello del 2023, perciò, è stato il terzo Pride, che ha festeggiato anche l’apertura del primo centro antidiscriminazioni. Luce, 26 anni, la strada da quel primo Pride ad oggi se l’è percorsa tutta: “Nell’estate del 2017 – ricorda – Vladimir Luxuria, intervenendo dal palco del Potenza Pride – lanciò l’idea di un Pride in Molise. Restammo spiazzati, non ci sentivamo pronti. Poi l’anno dopo, a luglio, il comitato nacque davvero e organizzammo la prima parata: l’emozione fu enorme, più di 6mila persone nelle strade, parteciparono famiglie e centri anziani. Personalmente, in quel periodo attraversavo una fase difficile, ero molto scoraggiata, stavamo addirittura per perdere la sede associativa a Isernia. La manifestazione fu un’iniezione di orgoglio enorme”.
Anche Lodi, poco più di 45mila abitanti all’ultimo censimento, appartiene al gruppo dei Pride dei piccoli centri. Per Lodi, poi, la parata del 1° luglio è stata una prima volta: in testa un solo camioncino amplificato, poi il sindaco con la fascia tricolore assieme a* portavoce delle associazioni, ognun* con la propria bandiera. E a seguire una moltitudine di persone, con le bandiere, gli arcobaleni, i cartelli e gli abiti della festa.
Osservando la mappa disegnata dall’onda arcobaleno, notiamo che 29 Pride si sono svolti nelle città del nord Italia, 8 al centro, 16 al sud e nelle isole. In fatto di numeri, il primato dei Pride ce l’ha la Lombardia, che quest’anno è stata attraversata da ben 8 cortei; 6 si sono svolti in Veneto, 5 in Sicilia e in Emilia-Romagna, 4 in Puglia e in Piemonte, 3 in Liguria e in Campania. 2 in Lazio e nelle Marche, 1 nelle restanti regioni. È quello di Ragusa il pride più a sud d’Italia. Il primato Andrea, 31 anni, tra i registi della manifestazione, se lo rivendica col sorriso: “Quest’anno abbiamo organizzato il nostro secondo Pride, il primo lo avevamo progettato nel 2020 ma poi la pandemia ci ha costretti ad annullare. L’anno scorso finalmente siamo riusciti a fare la nostra prima parata: mille partecipanti, per noi un successo grandissimo. Quest’anno è arrivato il nostro secondo Pride: più di 4mila persone. La soddisfazione più grande è la gratitudine delle persone per un Pride che arriva finalmente anche da noi. Una gratitudine che, nei giorni che portano all’evento, si trasforma in una vera e propria attesa, carica di emozione”. E a proposito di emozioni, anche Andrea ha le sue: “L’immagine che mi è rimasta negli occhi è quella di una nonnina che ballava nel suo balcone, affacciata sul lungomare mentre passava il corteo: si agitava e alzava i pollici, ci faceva “ok”. Per me è stato chiarissimo: ci ha chiesto di andare avanti”.