Questo articolo è un omaggio a tutti i compagni di viaggio i cui nomi riempirebbero l’intero sito di Aut, persone con cui ho attraversato quella tempesta perfetta che ha quasi spazzato via un’intera generazione GBT e per tutti quei compagni, non solo gay, con cui ho condiviso l’ultimo tratto del loro viaggio nel quale sono stati travolti dalle onde, spazzati dal vento, abbattuti dai fulmini e assordati dai tuoni. E’ con queste parole che Pino Anastasi, uno dei medici che ha fondato il servizio di assistenza per i malati di hiv/aids del Circolo Mario Mieli negli anni ’80, ci racconta cosa sono stati quegli anni e come abbiamo scoperto l’importanza di poter contare sulla comunità.
Ricordo bene quell’attimo, quella notizia data con tono allarmistico, preludio di una catastrofe imminente. Ricordo quella voglia istintiva di minimizzare che mi portava a pensare: “Ecco, mo’ si stanno inventando qualcosa per farci tornare ad essere ombre”. Poi cominciai a pensare a quella notizia come qualcosa di remoto, innocuo, lontano: “Sta in America, non arriverà mai qui”, un po’ come qualche tempo fa con il Covid: “E’ lontano, è in Cina, non si spingerà fin qui”. Poi la lettura di Susan Sontag che ammoniva: “Un virus non ha confini”. Proprio così: un virus non si ferma ai confini di un paese, ma stando a quanto si sentiva sembrava che questo virus fosse in grado di riconoscere non solo gruppi etnici ma anche di identificare l’orientamento sessuale prendendo di mira, almeno negli Usa, proprio i gay. Punizione divina? Non era chiaro se bisognasse temere di più il virus o l’ignoranza e l’ondata di discriminazione che stava subdolamente diffondendosi. Si parlava di “morbo gay”, di “Peste del 2000”, serpeggiava nei discorsi una sempre crescente diffidenza che portava la gente a tenersi lontana dai gay: in fondo proteggersi era facile, bastava non frequentare gli omosessuali come se fossero “altrove”, su un altro pianeta, lontani da tutti loro.
E ancora: “L’aids ce l’ha chi se lo va a cercare”, perla di saggezza dell’allora Ministro della Sanità. Io studiavo Psicologia, e mi accingevo a pensare alla tesi di Laurea. Fui travolto da quel clima di allarme che non presagiva niente di buono. Da gay appena dichiarato in un seminario di studio sull’Innamoramento e amore, tenuto dal Prof Gèrard Lutte, mi recai da lui e lo sorpresi con una richiesta: ”Vorrei fare una tesi sull’Aids”. Lui fu entusiasta e mi disse: ”Non voglio una tesi bibliografica ma un lavoro con storie di vita, qualcosa che ricostruisca il profondo significato di chi sta affrontando questo dramma”.
Cosi m’imbarcai su questa nave andando incontro a quella che si annunciava come una “Tempesta Perfetta”, consapevole delle difficoltà e della sofferenza che quel viaggio avrebbe comportato.
Il primo approdo fu al Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli che allora aveva sede a Piazza Vittorio. Non so quante volte andai su e giù, in quella fredda sera d’inverno, prima di trovare il coraggio di sentire il suono di quel citofono che avrebbe cambiato la mia vita. Feci le scale per giustificare quel batticuore ed il fiato corto che mi attanagliava. Mi presentai, spiegai che avevo in mente di fare un lavoro sull’aids e che avrei frequentato il Circolo per dare visibilità a ciò che fino a poco tempo prima tendevo a vivere tra la stretta cerchia dei miei fantastici amici di Cinecittà (mia scialuppa di salvataggio per tutti gli anni vissuti a Roma).
L’uragano si stava già abbattendo sulle nostre vite e non era possibile lasciare il porto e farsi sorprendere in mare aperto. Ma anche nei porti non si era al sicuro, tutto sembrava travolgerti. Molti però erano là fuori, già esposti alla tempesta. Furono lanciate alcune scialuppe da parte dell’Osservatorio Epidemiologico Regionale e dell’Istituto Superiore di Sanità che si concretizzarono nella proposta di individuare un campione di 50 volontari da sottoporsi ad uno screening che avrebbe consentito di rilevare eventuali contatti con l’HTLV III, nome con cui fino ad allora veniva chiamato l’HIV, non ancora identificato come tale. Alla guida di questa scialuppe ricordo diversi timonieri: Beppe Ippolito, Gianni Rezza, Francesco Montella, Enrica Tamburrini, Damiano Abeni, Domenico Moretto, Fiorella Di Sora e non me ne vogliano i tanti che in quella fase furono alla guida di scialuppe di salvataggio per chi si ammalava e di protezione per chi rischiava di essere travolto.
Completai la mia tesi di laurea. Fu il primo lavoro psicologico sull’aids: 30 interviste a persone omosessuali e la narrazione della storia di vita di 3 persone con aids che seguivo a domicilio e a cui cercavo di fornire supporto psicologico. Da quel lavoro fu poi pubblicato il libro: “Gli omosessuali affrontano l’aids. Politiche, vissuti, implicazioni psicologiche” che diventò anche uno dei testi a scelta che gli studenti potevano utilizzare per gli esami di Psicologia dell’Età Evolutiva del Prof. Gèrard Lutte.
Anche dal Mario Mieli partirono molte scialuppe: istituimmo il Consultorio Psicologico gratuito a sostegno di persone omosessuali in difficoltà, che forniva supporto psicologico a persone con HIV/Aids al Circolo e a domicilio; un gruppo di auto-aiuto; lanciammo un servizio di assistenza domiciliare sanitaria; un servizio di assistenza psicologica e sociale, in attesa che le istituzioni si interessassero all’incombente emergenza di quella che era una problematica che investiva non solo la sfera sanitaria delle persone coinvolte ma anche quella psicologica e sociale. Non volevamo un servizio di assistenzialismo tipo: “Dimmi come ti senti, amico fragile, se vuoi potrò occuparmi un’ora al mese di te” ma interventi che garantissero continuità e professionalità.
Il Mario Mieli lo fece finanziando i servizi attraverso Muccassassina: ebbene sì, Muccassassina è nata da un’idea di Francesco Simonetti per finanziare i servizi alla persona che il circolo Mario Mieli stava offrendo. Naturalmente per tutto il territorio nazionale si muovevano cellule di salvataggio raggruppate da un movimento che ne coordinava le azioni (Forum Aids Italia), mentre a livello ministeriale s’istituiva la Consulta Ministeriale sull’aids che condusse, a tutela delle persone colpite, alla Legge 135 del 90.
L’uragano, intanto, avanzava travolgendo vite, mietendo vittime non solo per azione diretta del virus ma anche per: discriminazione, fobia, panico, angoscia, isolamento, solitudine, perdita del lavoro, degli amici, dei familiari, della salute, della vita.
Nonostante le numerose scialuppe calate in acqua, spesso magistralmente pilotate, assistevamo a naufragi continui e vedevamo sparire tra le onde, una dopo l’altra, persone a noi vicinissime: tra una diagnosi di aids ed il decesso, raramente si arrivava ai 6 mesi di sopravvivenza e farmaci come la Zidovudina (AZT) si rivelavano non solo inefficaci ma spesso anche dannosi.
Si arriva così al 1996. Partecipammo con un nostro Lavoro sull’Unità di Strada alla Conferenza internazionale sull’Aids a Vancouver dove per la prima volta sentii pronunciare le parole: “Inibitori della proteasi”. Fu il transatlantico su cui da lì a poco furono caricati migliaia e migliaia di naufraghi che avevano perso, ormai, ogni speranza. Quel transatlantico sarebbe presto diventato un approdo, un alito di respiro, per tutte le persone colpite dalla tempesta. Quel transatlantico si rivelò formidabile strumento di salvezza.
Superate le difficoltà iniziali e le reazioni avverse del farmaco, il mare dopo tanti anni tornò a quietarsi. Il sole faceva timidamente capolino tra le nuvole. Non fu con un vaccino che la tempesta si placó, ma con la cura che oggi ci porta a pronunciare parole come: Viremia zero” (mi si passi il termine poco scientifico).
Ma “nessun dorma”: rimaniamo sempre all’erta, la prevenzione è sempre l’ancora di salvezza, non smettiamo di guardare l’orizzonte e, ad ogni minaccia in agguato, non nascondiamo la testa minimizzando e continuiamo a proteggerci come ieri con il preservativo, come oggi con preservativi e/o con la PREP, con la cura, afferrando ogni mano tesa a risollevarci da ogni forma di crisi.