AUT Magazine

La politica, la passione, il World Pride

di Imma Battaglia
Nel suo nome quasi un destino: Battaglia. Contro quello che ritiene ingiusto, a favore di chi non può difendersi. Ci racconta il suo più grande successo: il World Pride del 2000 a Roma.
La-politica,-la-passione,-il-World-Pride-del-2000.-Imma-Battaglia---Foto-Mirta-Lispi1

Dalle prime esperienze di volontariato a protagonista nella realizzazione dell’evento che ha segnato la storia del movimento. 

Ho iniziato a frequentare il Circolo Mario Mieli dal 1988 e sono diventata presidente nel 1996. La mia vita al Mario Mieli è stata segnata da fattori importanti. La prima l’Aids, vedevo tanti ragazzi morire giovanissimi senza il sostegno delle famiglie, che si vergognavano e nascondevano i loro figli agli affetti più cari. Io lavoravo nel settore Ict e giocavo in serie A di pallamano per cui trascorrevo la mia vita tra affetti, impegni lavorativi e allenamento. Ho iniziato a frequentare il gruppo femminista del Buon Pastore, e lì ci dissero che una ragazza lesbica che gestiva il bar aveva l’Aids, ma invece di essere sostenuta dalle altre donne venne allontanata, c’era tanta ignoranza sulle modalità di contagio e tanta paura ma rimasi così colpita da quella storia di solitudine e discriminazione che mi venne naturale schierarmi al suo fianco insieme alle volontarie del Mario Mieli, che erano Rosaria Iardino e Deborah Di Cave: iniziammo a fare informazione e prevenzione e provammo a sensibilizzare la politica femminista sul tema Hiv spiegando che non riguardava solo gli omosessuali ma tutti, e che non si potevano lasciare le donne da sole. 

Iniziando a frequentare il Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli mi resi conto che i servizi di supporto alle persone affette da Hiv erano importantissimi, era l’unico punto di riferimento in quel momento così tragico e difficile per la comunità. C’era una grande mobilitazione, un volontariato bellissimo, e soprattutto il servizio domiciliare che aiutava tante persone sole; così iniziai a frequentare assiduamente, partecipando agli incontri politici del lunedì che mi hanno aiutato a rendere più da attivista la mia vita di donna lesbica. In quel periodo ho visto la ferocia della discriminazione e ho cominciato a riconoscerla, anche nella mia vita di persona nascosta. Cominciai a vivere la politica gay e lesbica con persone che hanno fatto la storia del Mieli e non solo: Francesco, Vladimir, Andrea Pini, Vanni Piccolo, Serafino Iorli, Paola Dee, la Karl du Pigné, Massimo Consoli, Franco Grillini, Titti de Simone, Nichi Vendola e tanti altri.

L’attivismo era forte e sentito, nel ‘94 si organizzò tra Arcigay e Mario Mieli il primo Gay Pride in Italia: io quell’anno non fui tra le persone in prima linea che lo organizzarono, ero “solo” una socia volontaria. Nel ‘96 mi chiesero di diventare presidente e accettai con slancio. Questo mi portò a uscire dal mio ambito personale, riservato, chiuso, sereno, per arrivare a “scontrarmi” con gli oneri della visibilità: all’inizio mi mise parecchio in crisi. Il primo impegno è stato quello di tenere sotto controllo i conti, poi però ho portato nel volontariato la mia formazione professionale in una multinazionale informatica e ho iniziato a strutturarlo in gruppi tematici.

Capii che non potevamo vivere nella solitudine, con la pressione del Vaticano, ma che dovevamo creare rapporti nazionali e internazionali con altre realtà per essere più forti. Fu allora che iniziò a balenarmi nella mente l’idea di organizzare un grande pride mondiale, un progetto che si sviluppò e si realizzò nel 2000, a Roma in concomitanza con il Giubileo. 

Successe in quel periodo un fatto terribile: il 13 gennaio 1998 Alfredo Ormanno, un uomo gay di circa 40 anni, partì da Palermo per venire a darsi fuoco sul sagrato di San Pietro, lasciando una lettera che denunciava l’oppressione della Chiesa nella sua vita. Ne rimasi sconvolta. Non si poteva morire così!

Già dal 1997 a Roma sentivamo la pressione politica che nasceva dall’approssimarsi del Giubileo del 2000: tutto doveva essere religiosamente perfetto. Nel movimento Lgbtqia+ si erano iniziate a creare tensioni per l’organizzazione dei Pride con l’Arcigay nel 1997 decidemmo di muoverci da soli.

“Dobbiamo fare una manifestazione internazionale a Roma, proprio perché c’è il Giubileo”, pensavo. Iniziammo a capire cosa si faceva in giro per l’Europa dove c’era già l’Europride. L’Arcigay si era mossa, prima di noi, per proporre la candidatura di Roma e anche noi cominciammo a fare pressione. Io odio il vittimismo, ma la tragedia di Ormanno mi aveva fatto proprio incazzare. 

Ero convinta che noi dovessimo essere i veri “pellegrini” di questo Giubileo. 

Dovevamo essere milioni a rivendicare il diritto di esistere, di essere riconosciuti, di vivere la nostra vita senza essere più discriminati. 

Iniziai il mio “pellegrinaggio” in giro per l’Europa e nel mondo delle associazioni lgbtqia+ per convincerle a scegliere Roma per l’Europride: vado in Svezia, in Inghilterra, ovunque, per portare l’Europride a Roma. C’era da fare un grande iter per l’approvazione, ma non mi bastava. Per me non poteva essere un problema solo europeo, le religioni monoteiste in tutto il mondo opprimono le nostre vite, il Giubileo del 2000 doveva essere l’obiettivo della nostra visibilità in tutto il mondo.

Ho iniziato a fare un lavoro di alleanze internazionali, incontrai a San Francisco un’attivista straordinaria, Deborah Oakley Melvin. La invitai a venire a lavorare con noi a Roma per fare sì che non fossimo più isolati ma connessi con tutta la rete di attivisti nel mondo. A San Francisco venni a contatto con tante altre associazioni, inclusa la Human Right Watch, partecipai alle riunioni all’Ilga, che lega tutti i pride americani e manifestai l’importanza di creare il primo World Gay Pride (avevamo avuto l’ok per l’Europride, ma volevo che fosse un evento di portata mondiale). Fui invitata a Washington il 30 aprile 2000 alla Millennium March e aprii il corteo a fianco di Martina Navratilova, Billie Jean King, Ellen De Generes, Anne Heche e tante altri. Non mi pareva vero. Bandiere rainbow ovunque, parlai in inglese davanti a un fiume di persone, una piazza di imbarazzante enormità. 

Ricordo che dissi: “Roma nel 2000 ospita il Giubileo, sono previsti milioni di pellegrini. Le religioni monoteiste sono la nostra oppressione in giro per il mondo, le persone vengono condannate a morte per la loro scelta di vita. Noi chiediamo di supportarci e di venire tutti e tutte a Roma per far parte dell’’esercito’ di pace che marcerà per chiedere di fermare l’oppressione”. E arrivarono tanti volontari dagli Usa.

A marzo 1999 annunciamo alla sala stampa estera il World Gay Pride a Roma. 

Il Sindaco di Roma, Rutelli, ci diede il benvenuto ma a novembre del 1999 iniziò un’inversione della politica italiana, ci tagliarono i fondi che i partiti e il comune avevano destinato. Rutelli revocò il patrocinio, non ci accordarono i permessi per il villaggio Pride fino a una settimana dall’evento né l’autorizzazione per il percorso, comunicato anni prima. Abbiamo iniziato a fare azioni di lotta continue. Inseguivamo Rutelli ovunque, urlavamo slogan come “Il-gay pride-si-deve-fare!”. Facevamo un casino infernale!

Iniziava la nostra conquista dei diritti. 

Mi ricordo che Rutelli aveva messo a piazza Venezia l’orologio con il countdown per il Giubileo. Camminavo una notte ai Fori Imperiali con Debora Oakley e le dissi: “Ma ti rendi conto che qui arriveranno milioni di gay da tutto il mondo?” Lei rispose: “Sì, e da qui non si torna indietro”.

Organizzammo un villaggio per il Pride a piazza Ugo La Malfa (nel roseto, sopra al Circo Massimo), era piccolo ma bellissimo, quando lo inaugurammo non ci aspettavamo la folla, pensavamo che le persone non volessero mostrarsi di giorno, che avessero paura e invece ci fu una folla pazzesca. 

Non si può raccontare la gioia di vedere e sentire gente che veniva da ogni parte del mondo: tutti insieme era un fiume in piena. Era stupendo, emozionante, una cosa incredibile. Era un delirio fino a tarda notte. Poi ci fu l’inaugurazione ai giardini della filarmonica con Maria Grazia Cucinotta e seguì una settimana piena di eventi internazionali. La sfilata di moda, lo spettacolo di danza, ballerini da tutto il mondo, con il bacio di 2 ballerini svedesi sposati famosissimi in pieno Circo Massimo, la pelle d’oca… 

Fino ad arrivare all’8 luglio, il giorno della marcia. Raduno previsto per le 17. Passai in scooter per vivere l’emozione da sola verso le 13, ed era già tutto pieno dalla Stazione Ostiense fin su, dove c’erano i carri, Viale Aventino era pieno. Bisognava partire in anticipo perché c’era troppa gente e non riuscivamo a camminare. C’era una folla e sentivo gridare “Imma, Imma”, non avevo né il tempo né la forza, l’unica cosa che sapevo è che avevamo vinto noi e che Alfredo Ormanno aveva avuto il giusto riscatto. Ricordo la telefonata di Gad Lerner all’epoca direttore Tg1: “Imma ti mando in onda al Tg1 delle 20, ci saranno milioni di italiani, non ti vieto nulla ma sappi che dalle tue parole dipenderà il successo della manifestazione, decidi liberamente quello che vuoi dire”.

Dissi “il World Pride è una manifestazione per la libertà e il diritto, non è contro il Giubileo ma è un evento che deve essere condiviso da tutti, anche da quelli che credono e hanno fede perché si tratta di diritti umani: nessuno vuole andare a San Pietro per offendere”. E poi accadde un fatto incredibile, il 28 giugno a Catania, anticiparono il Pride a sostegno di Roma e fui invitata lì per parlare. Incontrai in aeroporto il Cardinal Ruini. Un ragazzo mi chiese di parlargli ma io ero restia. Poi decisi di andare, mi avvicinai e gli dissi: “Sono Imma Battaglia e come lei sa sto organizzando il World Pride l’8 luglio, volevo solo dire che la chiesa sta perdendo un’opportunità perché le persone saranno in piazza per rivendicare rispetto, voi dovreste accoglierle anziché respingerle”, ma lui fece finta di non riconoscermi e non mi rispose nulla.

In aereo accadde poi un episodio piuttosto spiacevole, il pilota mi disse: “Dovete vergognarvi per quello che state per fare”. Lo guardai e gli risposi “Sono orgogliosa di quello che stiamo realizzando, se ne faccia una ragione!”. Lo stesso ragazzo mi esortò a insistere perché parlassi ancora con Ruini ma io gli dissi di no! Sapevo che c’era qualcuno più in alto di tutti che ci guardava e faceva il tifo per noi; e fu proprio a lui che mi rivolsi quando arrivai e vidi quella folla incredibile, pensando che fosse dalla nostra parte. 

Quel giorno, l’8 luglio del 2000, ha cambiato, per sempre, la nostra vita e la politica italiana. Noi nel ghetto non ci saremmo tornati più!

[foto del World Pride: Mirta Lispi]

 

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