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Dalla Luna ai Faraoni, fotografando il mio amico Mario

Regista, autrice di documentari, giornalista: Maria Bosio era amica di Mario Mieli e l'autrice di alcune delle fotografie più famose dell'intellettuale. Questa è un’intervista esclusiva per Aut nella quale ci racconta un Mario Mieli inedito, da vicino.
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A New York tra la fine degli anni Sessanta e la metà degli anni Settanta, ha lavorato al fianco di Ruggero Orlando, assistendo fra l’altro all’epocale diretta dell’allunaggio del 1969. Attenta osservatrice del teatro d’avanguardia, è stata un importante punto di riferimento di Mario Mieli a Roma. E’ l’autrice di alcune delle fotografie più famose di Mieli, tra cui quelle di lui in scena a Capri e della sua performance a piazza san Pietro. E’ una delle persone a cui Mario Mieli ha scritto il giorno prima di morire. Questa è un’intervista esclusiva per Aut nella quale ci racconta un Mario Mieli inedito, da vicino.

Roma, Piazza San Pietro. È una tarda mattina della fine degli anni Settanta. Mario Mieli è un folletto perturbante che fa corrispondere ad azioni plateali i suoi pensieri lampeggianti, rivolti all’esplorazione di futuri possibili. Si mette al collo tutte le collane e i gioielli della sua amica Maria Bosio e, dopo averle preso anche un mantello dall’armadio, ancheggiando sui tacchi improvvisa una sfilata o forse una processione davanti alla basilica, offrendosi alla folla stupita dei fedeli e all’obiettivo della macchina fotografica della sua sodale, che lo immortala in questa performance sacerdotale. Una serie di scatti celeberrimi, forse le fotografie più famose e iconiche di Mario. Le più pubblicate, quasi sempre senza nominare la fotografa che le ha fatte e senza che nessuno ne riconoscesse la maternità. Ve lo diciamo chiaramente noi: l’autrice di queste foto è Maria Bosio, regista della Rai, autrice di documentari e giornalista. 

Maria Bosio conosce l’euforia e il fermento culturale della New York post sessantottina ed è al fianco di Ruggero Orlando durante l’epocale diretta televisiva dedicata allo sbarco sulla Luna, nel 1969. Nel 1971 Mario Mieli invece è a Londra e frequenta gli ambienti ariosi del Gay Liberation Front, poi in Italia aderisce al FUORI, passando dopo all’esperienza movimentista dei collettivi milanesi.

Tornata in Italia, Maria incontra Mario nel giugno del 1976, alla prima romana dello spettacolo La Traviata Norma ovvero: vaffanculo… ebbene sì! del Collettivo Nostra Signora dei Fiori di cui Mieli fa parte e da allora non si sono mai separati, fino alla fine. Mario e Maria, Mary e Mary: due vite parallele che si intrecciano e si ritrovano impresse, dopo il fiume degli anni, in una manciata di fotografie che raccontano la preziosità di una giovinezza vissuta come una sfida audace e totale contro la norma.

Noi abbiamo incontrato Maria per farci raccontare la nascita di questi scatti immortali e la storia di un’amicizia profondissima, quasi gemellare. La sua amicizia con Mario Mieli.

Quando e come hai conosciuto Mario Mieli?

Ero appena tornata dall’America, dove avevo vissuto per sette anni e dove avevo avuto modo di sperimentare il mondo che cambiava, con tutti i movimenti di quegli anni. Li avevo attraversati tutti: dai diritti civili al femminismo ai movimenti di liberazione omosessuale, l’ecologia che iniziava, la ricerca scientifica, la Luna con l’allunaggio insieme a Ruggero Orlando, con cui lavoravo in quel periodo alla Rai Corporation. In America avevo frequentato i teatrini offoff, i loft e le cantine, la pittura, la poesia, tutto il fermento culturale e la trasformazione che stava avvenendo in quegli anni. Io il Sessantotto l’ho vissuto lì e quando sono tornata in Italia, intorno al ’75 o ’76, mi sono trovata a lavorare alla Rai. Avevo un compagno che era Nico Garrone, il critico teatrale del quotidiano La Repubblica, appena nato. Nel 1976, una sera d’estate, io e Nico andiamo a vedere La Traviata Norma al teatro In Trastevere, uno spettacolo fatto da Mario e un gruppo di altri attori. In quella serata esilarante e divertente l’ho conosciuto.

Era un modo di intendere il teatro a cui tu eri abituata?

Sì. La Traviata Norma mi riportava a tante cose che avevo vissuto e visto in America. Gli attori erano seduti sul palcoscenico e aspettavano succedesse qualcosa nel pubblico. C’era una strana attesa e il chiacchiericcio di queste persone vestite in modo molto bizzarro e originale. Dopo un po’ si capiva che loro guardavano noi, il pubblico, come se fossimo noi lo spettacolo. Alla fine di questa performance, gli attori facevano una specie di arrembaggio verso il pubblico. L’idea era quella di condividere una serie di provocazioni e di esperienze e di eliminare la distanza tra palco e pubblico, uno dei punti fondamentali del teatro d’avanguardia di quegli anni. Ognuno degli attori sceglieva qualcuno in platea, per avvicinarlo. Si dà il caso che Mario ha scelto me e Nico ed è stato molto affascinante, interessante e divertente. Quella sera, dopo lo spettacolo, ci siamo scambiati i numeri di telefono e poi ci siamo rivisti a Capri a Devianze, una manifestazione di teatro e di cinema organizzata da Graziella Lonardi Buontempo.

A Capri, Mario fece una performance?

Mario fece una performance e io scattai delle fotografie: quelle in primo piano di lui vestito con un vestitino bianco, con gli occhialoni neri, e di lui seduto sul palchetto. Io in precedenza avevo visto Mario impennacchiato, vestito in modo eccentrico, con il suo travestimento attoriale e invece a Capri si era presentato in un modo molto modesto, com’era spesso nel suo privato. Sembrava un giovane efebo di buona famiglia, per niente truccato, con le sue ballerine ai piedi e un fare timido. Arrivò sul palco con un vestitino molto semplice, estivo, con qualche pizzo e fu come sempre brillante, interessante e un po’ pazzo. Com’era lui, insomma: inaspettato nel suo modo di essere.

Era un monologo o erano delle azioni?

Non erano azioni, erano soprattutto parole. C’era questa presenza carismatica, anche se era un evento sottotono. Il vero spettacolo per me fu dopo, nel prosieguo della serata. Andammo a mangiare una pizza e a un certo punto Mario diede il meglio di sé. Sempre vestito da ragazza di buona famiglia, camminando le stradine di Capri, si comportava in modo eccentrico. Si avvicinò e ci seguì un gruppo di ragazzotti napoletani che lo guardavano come fosse un ufo. Lo prendevano in giro, lo sfottevano, gli stavano intorno in un modo non molto gradevole. La situazione avrebbe potuto degenerare, perché tutti erano un po’ brilli. Lo spettacolo fu per me vedere come Mario rigirò la situazione. Invece di sfuggire, affrontò i ragazzi e cominciò a parlare con il suo modo ironico, spiritoso ma anche sicuro e determinato, cercando di spiegare che erano degli omosessuali negati. Li affrontava sul loro terreno, molto abilmente, ed era riuscito a smontarne l’aggressività con delle provocazioni terapeutiche, da insegnante quasi, piene di ironia e intelligenza.

Insomma, questi due primi incontri sono illuminazioni.

Illuminazioni, puoi dirlo. Mi affascinava il fatto che lui non teorizzava prima e poi applicava la teoria alla realtà. Lui sperimentava su se stesso i suoi problemi di genere e di ruolo, sia sessuale che nella società e nella vita. Ovviamente era una cosa molto audace. Non era mai cauto nelle sue sperimentazioni e questo lo metteva in condizioni di difficoltà e anche, ripensandoci, di fragilità. Cercava per sé uno spazio da profeta dei tempi presenti o futuri. Da quel momento siamo diventati più amici. Mario veniva sempre a casa mia. Ho avuto modo di ospitarlo e abbiamo passato molto tempo insieme, facendo anche qualche viaggio, per esempio in Grecia. Con lui, c’erano Umberto Pasti e le sue amiche di sempre, Laura Noulian e Marc de’ Pasquali. Insomma, ero entrata in un mondo che mi si addiceva perfettamente di persone “altre”, se vuoi definirle così.

Tu e Mario eravate una specie di strana coppia gemellare.

Maria: Sì, lui veniva chiamato Mary e anche a me gli amici più stretti chiamavano e chiamano Mary. Io sono più grande di Mario e con un’esperienza personale non tanto simile alla sua. Sono eterosessuale, però avevo avuto modo di sperimentare quella che oggi si chiama fluidità. E quindi sì, potrei dire che eravamo una specie gemellare particolare. In quelle foto che ho scattato a piazza San Pietro, Mario era vestito con tutte cose mie, collane, mantelli e con tutto quello che aveva trovato nel mio armadio. 

Parliamo di queste foto, famosissime. Quando sono state scattate e perché?

Era la fine degli anni Settanta. Lui aveva appena scritto o stava scrivendo il suo secondo libro e aveva perso le bozze in un viaggio in Thailandia. L’idea del libro era partita come una specie di Divina Commedia con caratteristica egizia, in cui metteva ognuno dei suoi personaggi egizi in un girone. Lui era il grande sacerdote e predicava la narrazione del futuro, di come era e di come doveva essere il futuro. Tant’è vero che in quegli anni avevamo fatto insieme un appello per la pace, che dimostrava un bisogno politico di essere in contatto con quello che succedeva nel mondo: il pericolo incombente di una guerra atomica. Poi nel 1977 era uscito Elementi di critica omosessuale e Mario cominciava ad avere un seguito di critici o di personalità nel mondo gay ma anche eterosessuale che ne condividevano la particolarità e l’innovazione.

C’è un legame tra le foto a San Pietro e il romanzo che lui aveva scritto e perduto?

È una mia interpretazione. Mario in quegli anni si identificava in una specie di papa, di profeta del futuro. Era un sommo sacerdote, a modo suo, sempre con ironia e, come tale, aveva deciso di andare a San Pietro, nella casa dove si presenta un sommo pontefice, per parlare con la gente. Tutto questo, con Mario, era sempre un gioco e una cosa seria allo stesso tempo: era una sua caratteristica.

Quel giorno lui si è vestito con le tue collane e i tuoi mantelli. Lo faceva spesso?

La sera, quando andava a battere, Mario spesso si vestiva da donna, talvolta con cose mie. Oppure in pubblico o sul palco si trasformava in una diva, in un travestito eccentrico e particolare. Aveva però anche un profilo casalingo da giovane prete efebico, dimesso, mai truccato, con un corpo esile, quasi da ragazzino. Quando si metteva a scrivere, aveva l’aspetto di un intellettuale che esprimeva in modo serio i suoi punti di vista. Aveva questo doppio aspetto, quindi. Quel giorno, sì, aveva saccheggiato il mio armadio. La mantella era mia, le collane erano mie e siamo andati insieme a piazza San Pietro.

Tu sapevi che Mario avrebbe fatto una specie di performance?

Sì, certo. Io ero sempre molto divertita dalle cose che Mario faceva, forse non sempre capendo fino in fondo la la serietà dietro a queste sue esibizioni. Le vedevo come situazioni esilaranti, provocazioni che ribaltavano e rompevano la normalità. Era anche questo che mi attraeva di Mario ed è il motivo per cui lo ammiravo. Era un piacere, uno stimolo e una gioia la sua compagnia.

Che momento della giornata era?

Era tarda mattinata e c’erano le transenne per il pubblico, quelle che venivano messe quando parlava il papa dalla finestra. La folla dei fedeli stava defluendo, però la gente era ancora tanta. In una delle foto che ho fatto, un carabiniere gli fa un saluto, passando, con un’espressione divertita. Mario amava molto interloquire e provocare, ma in modo sempre garbato. Era elegante nel modo in cui lo faceva, non era becero, perché era una persona intelligente. Ironico ed elegante, provocatorio ed elegante.

Mario ti ha ti ha scritto fino alla fine. Conservi queste lettere?

Sì, avevamo un carteggio. Lui era un grafomane. Io sono una delle ultime persone a cui ha scritto, il giorno prima del suo suicidio, una lettera in cui mi malediceva. Nel Risveglio dei Faraoni, che all’inizio doveva essere una specie di Divina Commedia, lui sistemava parenti e amici chi all’inferno, chi al purgatorio. Era una specie di autobiografia raccontata sotto forma di epopea egizia, in cui narrava la sua vita, descrivendo le persone che aveva conosciuto e frequentato ed esprimendo, in modo metaforico, ciò che realmente pensava di loro. Però poi Mario ci ripensò e andò da Einaudi a strappare il contratto e quindi quel libro non venne mai alla luce, se non grazie a Umberto Pasti che riuscì a farlo uscire con un editore minore molti anni dopo la sua morte. La lettera che mi ha scritto il giorno prima di morire era una lettera in un certo senso di maledizione. Mi arrivò il 14 marzo, il giorno dopo il suo funerale, ma lui l’aveva scritta l’11 marzo 1983. Inizia così: “Cara Maria, le tue telefonate di ieri”… In quell’ultimo periodo Mario non stava molto bene e, alla fine del suo percorso, non rispondeva più a nessuno, nemmeno al telefono, e a suo modo malediceva tutti. Io lo sapevo, ma nonostante questo avevo provato a telefonargli e mi aveva risposto. Velocemente, perché sapevo che avrebbe attaccato, gli ho detto: guarda, Mario, ricordati che Cristo nel deserto fu tentato dal diavolo, ma riuscì a non subirne i ricatti. Intendendo: fai attenzione a te stesso, non seguire le tue paranoie, le tue paure psichiche. E lui: no, non mi interessa. E aveva buttato giù il telefono. “Cara Maria, le tue telefonate di ieri mi hanno turbato e offeso. Non mi resta quindi che maledirti e francamente d’una donna falsa come te non saprei che fare carne da macello. Sei scomunicata”… Ecco, lui scomunicava. “Accetterei tutt’al più le tue scuse in forma epistolare privata, se in tal lettera manoscritta mi nomini come Gesù Cristo Redentore e metti la tua vita umilmente al”… e qui aveva scritto “suo servizio”, cancellando e scrivendo sopra “mio servizio”. Quindi: “Accetterei tutt’al più le tue scuse in forma epistolare privata, se in tal lettera manoscritta mi nomini come Gesù Cristo Redentore e metti la tua vita umilmente al mio servizio. Sei condannata al purgatorio anzi all’inferno. Baci, Mario”. E poi sulla busta, dietro, aveva impresso con il rossetto un bacio, la sua bocca con la forma di bacio. Ecco: questo era Mario.

È un documento tragico e bellissimo.

Bellissimo, infatti lo tengo con la sua foto nel mio altarino. L’ho preso come un ultimo gesto d’amore.

[foto di Maria Bosio]

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