
Uscirà il 9 maggio in libreria e verrà presentato il 16 al Salone del libro: Drag Italia. Storie e sogni di ieri e di oggi, di Stefano Mastropaolo, con la direzione creativa di Nick Cerioni (lo stylist delle rockstar), edito da 24 Ore Cultura. Un’edizione di pregio per celebrare la forza dirompente e scintillante del drag, un’arte che, oggi, è per tutti coloro che hanno il coraggio di osare. Un prezioso lavoro di ricerca che dà conto di come il Drag sia molto più di lustrini, paillettes e tacchi vertiginosi, ma una vera forma di espressione politica, un’arte che abbraccia il camp e il kitsch consapevole, uno spettacolo che celebra la cultura e l’esagerazione.
Drag Italia si presenta come un volume esteticamente bellissimo, dal contenuto potente solo in apparenza frivolo o leggero, frutto di un lavoro collettivo tra arte, archivio e attivismo. Ma è sfogliandolo che si entra nel cuore pulsante di 25 anni di cultura queer italiana, tra personaggi indimenticabili, memorie underground e riflessioni politiche sull’identità e il travestimento. Dalle feste casalinghe al clubbing, dalle dive pop alle lotte per la visibilità dei drag king, Mastropaolo intreccia la sua esperienza personale con una narrazione collettiva, restituendo al drag il suo significato più autentico: uno strumento di rottura e resistenza. Drag Italia non è solo un libro: è un atto d’amore e memoria, un viaggio tra arte, moda e politica queer, tra ribellione e bellezza. Ne abbiamo parlato con l’autore.
“Negli anni, quella del drag si è trasformata in un’arte inclusiva, aperta a chiunque senta il desiderio e la necessità di giocare con il corpo a prescindere dal proprio orientamento sessuale o dalla propria identità di genere”
Stefano Mastropaolo
Mai giudicare un libro dalla copertina. Eppure, il tuo libro fa eccezione… Ci racconti il prezioso packaging che hai scelto?
Il volume è nel catalogo 24ORE Cultura, quindi segue la linea editoriale ed estetica dell’editore. Ho lavorato con un gruppo di persone splendide, partendo da Nick Cerioni che ha curato la direzione creativa. Poi Leandro Emede che ha realizzato la cover e le foto inedite che, insieme a quelle di archivio e di ricerca, rendono il volume davvero prezioso. Il gruppo di 24ORE Cultura, da Chiara Savino, Stefania Vadrucci, Monica Panciera, Chiara Bellifemine, Davide Vincenti e Massimo Zanella: ognuna e ognuno con la propria professionalità ha saputo proporre le proprie idee e “tradurre” quelle delle altre o degli altri. È stato molto bello vedere quelle idee prendere forma e diventare esattamente il volume che volevo arrivasse in libreria.
Il libro è diviso in capitoli che sono dei piccoli manifesti politici. Ci racconti come hai scelto le sezioni e i contenuti?
Già dalla prima riunione avevamo pensato di far partire la nostra storia il più possibile indietro nel tempo. Partendo dall’idea che a Berlino esisteva l’Eldorado ci siamo chiesti: e da noi? Quindi ho fatto ricerca per trovare tracce di quella cultura en travestì (chiamarla Drag a quei tempi era impensabile), ma ovviamente noi in quegli anni già vivevamo sotto il fascismo e quindi quella libertà che ha caratterizzato Parigi o Berlino, fino all’avvento del Nazismo, era impensabile. Così nei capitoli abbiamo provato a ricreare la nostra storia, dalle feste in casa al clubbing, raccontando il contesto, che in un racconto è l’elemento fondamentale, il sentire sociale dei suoi protagonisti. Ho voluto ricordare Vinicio Diamanti che per noi un po’ agé ma è un nome importante, una figura troppo poco celebrata. Vinicio era Queer quando eravamo Froci, come ci ha insegnato Andrea Pini. Lo stesso ho cercato di fare con la figura de La Karl Du Pigné, per il rapporto umano, professionale e di attivismo che ci legava. Sono grato a Matteo Basilè per avermi concesso l’utilizzo di una delle sue foto fatte alla Karl che ho sempre amato. Sicuramente avrò dimenticato qualcuno o qualcuna, ma ho cercato di ripercorrere i miei 25 anni di attivismo, raccontando storie che ho vissuto accanto a personaggi di vario genere, in tutti i sensi! Il tutto è intervallato da focus di argomenti o temi per sottolinearne l’importanza.
In “Drag Italia” racconti il travestimento come strumento di rottura e resistenza. In un’Italia che ancora ha paura del mascara su un uomo, il glitter è un’arma o un balsamo?
La cultura patriarcale impone all’uomo di essere forte, di non mostrare debolezze, di non essere preda ma cacciatore. Un uomo che veste da donna, o fa cose da donna, come truccarsi, indossare la gonna o i tacchi, è una frattura insanabile e impensabile per chi crede che sia quello a rendere una persona degna o non degna di valore. Il glitter continuerà ad essere una ferita aperta nella cultura patriarcale fino a quando non smetteremo di credere che sia quello a rendere più o meno uomo un individuo. C’è da dire che anche all’interno della nostra stessa comunità c’è un’omofobia interiorizzata che rende meno maschi le Drag ecc. Tranne quando si fa shade, ovvero quando ci si offende per gioco, senza reale intenzione di ferire. Darsi della “passiva” in modo sarcastico è un conto, quando lo si dice con disprezzo, si finisce per replicare il modello maschilista Ripeto, quando è un’offesa reale, e non uno scambio di velenose cortesie che nascono e muoiono nell’attimo stesso che si dicono, sono cariche di quell’idea che la virilità sia un valore e che non esiste nessun altro modo per vivere se stessi se non omologarsi e farsi ingabbiare in schemi castranti. Per le donne è diverso: vestirsi con abiti maschili innanzitutto è una pratica giornaliera. Basti pensare allo stile Armani il cui simbolo è stato destrutturare la giacca da uomo fino a farla diventare un capo femminile a tutti gli effetti. O anche alle grandi giacche anni’ 80 di Montana, di Mugler, di Krizia. Tutto questo ha permesso di accettare socialmente questo sconfinamento senza traumi, anche se non dimentichiamoci che nel 1989 Lara Cardella scrisse “Volevo i pantaloni”, un romanzo che racconta il desiderio di emancipazione di una diciannovenne di allora da quella cultura chiusa e binaria. Le donne non pensano mai quando indossano i pantaloni che un tempo quel gesto era illegale o che è stato un atto rivoluzionario. Si è persa la memoria dell’importanza dell’atto politico di vestire abiti maschili per le donne. Da una parte è un bene, perché le donne hanno ottenuto un ruolo sociale diverso da semplice elemento di contorno, dall’altra parte quel gap e quella reale parità sono ancora un miraggio lontano. Noi siamo ancora qui a lottare anche solo affinché un accessorio possa creare una rivoluzione culturale, pacifica e permanente.
Susan Sontag ha scritto che il camp è un modo di vedere il mondo “non in termini di contenuto ma di stile”. Tu pensi che oggi, nella cultura drag italiana, ci sia il rischio opposto: troppo contenuto e poco stile?
Il Camp ha dato la dignità a quel kitsch consapevole e esagerato. Ha canalizzato in un termine uno stile di vita, è diventato un manifesto di una sottocultura. Il Drag come tutte le sottoculture che arrivano alla massa, intesa come gruppo dominante, ne subisce dei cambiamenti, ne perde un po’ della natura originale; quindi, sicuramente chi fa Drag oggi lo fa con una consapevolezza diversa. Lo fa pensandolo come una forma artistica a tutto tondo, ma non credo, anzi sono sicuro, abbia perso di una virgola il suo valore politico. Sicuramente come in tutte le cose, oggi c’è un’attenzione all’estetica, al beauty che possa richiamare X o Y, le reference sono molte e c’è una possibilità d’accesso maggiore, e non lo dico come giudizio, perché poi è il palco che decide se hai contenuto, solo stile o, addirittura, nulla. Ho letto una cosa molto bella che ha scritto Sypario in una sua storia dove ricordava che non esiste un Drag, ma vari modi di essere Drag e che non sono il padding o la parrucca super esagerata a definirti, ma l’arte che porti in scena.
Il libro è pieno di identità ibride, in fuga da ogni definizione. Ma tu, se dovessi creare una nuova categoria estetico-politica per descrivere il drag contemporaneo italiano, che nome le daresti?
Drag racchiude tutto. Perché ha una storia molto profonda. Drag, perché è entrato nell’immaginario collettivo. Ma cercherei di far conoscere la sua storia. Vorrei far capire che, indipendentemente dalla sua identità di genere, drag non è solo un personaggio. Dietro c’è una storia politica, sociale, personale, fatta di gioie, sofferenze, abbandoni, ricongiungimenti, di famiglie di cuore, diverse dalle famiglie di sangue. Una storia che ha inizio con il concetto di consapevolezza di sé.
Da Judy Garland a Lady Gaga, passando ovviamente per Madonna, il libro rende omaggio alle dive ispiratrici del mondo drag. Ma c’è un limite alla deificazione?
Lo ammetto, quelle che ho scelto sono soprattutto le mie icone, ma sono indubbiamente anche le stesse che, a modo loro, hanno creato una frattura nella società che attraversavano. Il problema non è se c’è o non c’è un limite alla deificazione, ma che non siamo più capaci di creare vere icone perché, anche quella che sembra destinata ad esserlo, dura il tempo di una storia di Instagram. Forse quelle che ho scelto sono state capaci di superare il tempo e di restare punti di riferimento.
Oggi il drag è anche mainstream: talent, TV, pubblicità. Dove finisce l’autenticità e inizia la vetrina?
E chi dice che la vetrina non sia autenticità? In fondo sono state le vetrine a sdoganare il modo che abbiamo oggi di vivere la vita urbana. L’autenticità finisce quando il pubblico non si lascia sedurre, percepisce il bluff. Ma sfido chiunque a fare Drag tanto per farlo. Una volta che scopri il tempo e l’impegno che ci vuole per Draghizzarti ti assicuro che non lo fai tanto per…. Quindi per me il Drag è sempre autentico, tanto che sia in una pizzeria tanto sul palco del Celebration Tour di Madonna.
Una sezione del libro è dedicata anche ai drag king, gli eterni outsider anche nella scena queer. Secondo te, il pubblico – anche queer – ha più difficoltà ad accettare una donna che gioca col potere maschile, rispetto a un uomo che lo sovverte al femminile? O pensi che sia volontà dei king essere così poco visibili rispetto alle queen?
Ai King ho dedicato un focus perché per raccontarli bene ci sarebbe voluto molto più dello spazio che avevo. Quello King è un elemento della nostra comunità che effettivamente non è molto conosciuto. Ho avuto modo di interagire con alcuni di loro e li ringrazio per avermi introdotto in una sottocultura che ha mille sfaccettature, che vorrei trovare il modo di raccontare, ma ripeto dedicandogli un progetto lungo e che non sia subalterno a quello del mondo Queen. Spero che questa decisione sia compresa perché ho intenzione di iniziare, anche solo per piacere personale, a fare ricerca, come ho fatto per questo libro, per tracciare una storia che meriti di essere raccontata. Sulla poco visibilità, ci ho pensato e me lo sono chiesto anche io. Ma non ho trovato ancora una risposta, anche perché preferirei me lo spiegassero loro.
Se Drag Italia fosse una frase da scrivere su un muro, in un locale queer di provincia, quale sarebbe?
Sicuramente “Si ballava con la morte”, frase che mi disse un giorno Bruno Casini parlandomi degli anni ‘80 e che racchiude il senso della nostra comunità. La capacità di essere consapevoli dei pericoli, delle minacce esterne, ma anche di fare festa per celebrare la vita e il diritto di viverla. In quel periodo l’aids ha spazzato via non solo vite giovanissime, ma una generazione culturale, sociale e politica. Nel suo mietere vittime ha creato, all’interno della comunità e dei suoi alleati, una consapevolezza diversa e una risposta compatta inaspettata da chi gioiva che stesse capitando proprio a noi senza capire che il loro sentirsi estranei, parlo della comunità etero, e fuori dal problema ha permesso al virus di circolare senza ostacoli. Tornando alla domanda, credo davvero che l’unico modo che tutti, indipendentemente dall’identità di genere, etnia, religione e orientamento sessuale, abbiamo per sconfiggere la morte, è vivere, quindi mettiamo su il nostro pezzo preferito e balliamo….
L’appuntamento con la presentazione di Drag Italia. Storie e sogni di ieri e di oggi al Salone del Libro è per il 16 maggio a Torino. Saranno presenti, insieme all’autore: Priscilla e Tsunami.