
Da anni parliamo di autodeterminazione, di libertà di amare, di scegliere se e come diventare genitori. Ma c’è un diritto che, in Italia, resta ancora un tabù: quello di morire con dignità. È qui che inizia questa conversazione, con chi non si accontenta dei silenzi parlamentari.
In un Paese dove lo Stato pretende di decidere quando puoi nascere, come puoi riprodurti e perfino se puoi porre fine alla tua sofferenza, il confine tra bioetica e biopotere si fa sottile. Tra leggi che vietano più di quanto regolino, retoriche moraliste che bollano la libertà come “pericolo”, e una politica che ha più paura della libertà che della morte stessa, la battaglia per il fine vita diventa il termometro di una democrazia matura.
Non si tratta solo di eutanasia, aborto o gestazione per altri: il nodo è sempre lo stesso. Il corpo, il nostro corpo, continua a spaventare. Specie quando rivendica il diritto di decidere.
Ne abbiamo parlato insieme a Chiara Lalli, giornalista, bioeticista, saggista, filosofa e parte del Consiglio Generale dell’Associazione Luca Coscioni. In questa conversazione, l’attivismo si fa linguaggio preciso e radicale. Perché il dolore non si gestisce con i divieti. E la libertà, quando è vera, vale anche per chi sceglie di morire. Partiamo da qui.
In Italia lo Stato ha il diritto di dirti come nascere, come amare, come riprodurti, e soprattutto come morire. È ancora bioetica o è biopotere travestito da morale pubblica?
Sempre meno però – non ancora abbastanza, lo so, ma pensiamo a come vivevano le nostre nonne o al fatto che fino all’altroieri c’erano il matrimonio riparatore e non potevamo fare le giudici. La bioetica non dovrebbe essere usata come una scusa per vietare tutto quello che ci fa fatica capire o che non ci convince. Il guaio sono i divieti e le leggi coercitive.
Siamo un Paese che si commuove davanti a un malato terminale in tv, ma poi se si parla di eutanasia il Parlamento si dilegua. Come spieghi questa ipocrisia?
La commozione è rivolta ai fragili e ai poveretti. Se quei fragili e quei poveretti rivendicano un diritto si incrina quella reazione da vecchia zia a Natale. Non voglio la commozione di nessuno, voglio dei diritti e la possibilità di scegliere come vivere e se, quando e come morire.
Chi sono i nemici della libertà all’autodeterminazione secondo te? Una parte della politica dice che il fine vita è “una questione troppo delicata” per legiferare (esattamente come per la GPA). Che cosa spaventa davvero?
Non lo so ma ho una obiezione alla premessa: andrebbe anche bene non legiferare, ma ci sono delle leggi che vietano. Come la mettiamo? La GPA è vietata da 21 anni e ora è diventata reato universale. Il 580 sull’aiuto e sull’istigazione al suicidio (che ricordo essere un articolo del codice Rocco) è stato cambiato dalla Corte costituzionale e il 579, omicidio del consenziente, ancora impedirebbe l’eutanasia. Questioni troppo delicate per legiferare? Benissimo, eliminate tutte le leggi al riguardo (non è che vale solo per le eventuali leggi liberali).
Luoghi comuni duri a morire: se vuoi liberalizzare la droga, sei un drogato. Se accetti l’aborto, sei contro la vita. Se riconosci la comunità lgbtqia+, diventano tutti froc*. Se vuoi legalizzare il fine vita, promuovi la cultura della morte. Cosa rispondi quando sbatti di fronte a questa retorica reazionaria?
Non rispondo a loro perché ha poco senso cercare di svegliare chi fa finta di dormire. Però rispondo a te: la restrizione della nostra libertà dovrebbe essere giustificata da ragioni molto forti. Non bastano le sciocchezze come “io non lo farei” o la ferocia paternalistica di chi ci vuole difendere da noi stessi. Se sono libera di fare qualcosa posso ovviamente decidere di non usarla quella libertà, e questa è un’altra ragione per preferire la libertà alla coercizione (quella ingiusta e ingiustificabile). Perché la libertà ha sempre delle condizioni di esercizio e in certi casi è più facile di altri, come le decisioni sulla mia salute e sulla mia vita. Non riguardano, in senso forte, nessun altro. Chi dovrebbe decidere al posto mio?
La politica italiana ha paura della morte o ha paura della libertà di chi la sceglie?
La politica è un dominio forse troppo ampio. Posso dire che il legislatore è stato ed è molto timido. Sono anni che la Corte costituzionale invita a legiferare (dal suicidio assistito alla rimozione dei requisiti di accesso alle tecniche riproduttive). Niente. Rispetto alla legge 40 l’unica cosa che sono riusciti a fare è estendere il divieto di “surrogazione di maternità” anche ai cittadini italiani che vanno in un paese dove la maternità surrogata è legale (un divieto incomprensibile oltre che ingiusto). Rispetto al suicidio assisito ora c’è questo comitato ristretto che non capisco cosa stia facendo (e forse manco lui, il comitato dico). Comunque ci sono delle sentenze della Corte che ci garantiscono più libertà e più diritti: la 242 del 2009, la 135 del 2024 e la 66 del 2025. Oggi possiamo accedere al sucidio assistito in determinate condizioni – questo grazie alla Corte, appunto, e non al legislatore. Al comitato ristretto basterebbe copiare queste sentenze e aggiungere un paio di cose (i tempi entro cui rispondere e la garanzia delle procedure, come cerca di fare la proposta di legge regionale “Liberi subito”). E ricordo anche la sentenza 68 del 2025 che finalmente dichiara “l’illegittimità costituzionale dell’art. 8 della legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), nella parte in cui non prevede che pure il nato in Italia da donna che ha fatto ricorso all’estero, in osservanza delle norme ivi vigenti, a tecniche di procreazione medicalmente assistita ha lo stato di figlio riconosciuto anche della donna che, del pari, ha espresso il preventivo consenso al ricorso alle tecniche medesime e alla correlata assunzione di responsabilità genitoriale”.
C’è un filo rosso che collega le battaglie per l’aborto, per la procreazione assistita, per il fine vita? È sempre e solo il corpo delle persone che fa paura?
La libertà di scegliere. In alcuni casi è più facile (o almeno dovrebbe) perché non ci sono dei conflitti tra diritti. La decisione di non curarmi o di morire riguarda solo me e chi pensa che la vita non sia disponibile è libero di pensarlo e di decidere di conseguenza, a condizione di non impormi le sue convinzioni. L’aborto volontario e le tenciche riguardano invece un possibile altro. L’embrione ha dei diritti e quali? La risposta che mi pare più corretta è che non ne abbia tali da ridurre la mia libertà di scegliere se abortire o se provare a fare un figlio ricorrendo alle tecniche.
L’Associazione Luca Coscioni continua da anni una battaglia ostinata e visionaria. Una legge sul fine vita è giusta perché?
Perché ci garantisce la possibilità di scegliere. Perché è la coerente conseguenza dell’articolo 32 della Costituzione. Perché se siamo liberi di morire non significa che dobbiamo scegliere di morire. Perché ci sono condizioni in cui la nostra vita ci diventa intollerabile e il diritto di vivere non dovrebbe diventare un dovere di vivere. Perché, come diceva Massimiliano (l’uomo che ho accompagnato in Svizzera perché aveva deciso di morire), ho un desiderio semplice: morire a casa mia.
Immagina un’Italia che approva finalmente una legge sul suicidio assistito e sull’eutanasia. Chi sarebbe la prima persona a cui penseresti?
A tutte le persone che non hanno fatto in tempo. E poi a tutte quelle che hanno reso possibile arrivare fino a qui, da Piergiorgio Welby a Elena Altamira e Romano, da Laura Santi a Martina Oppelli, da Federico Carboni a Sibilla Barbieri, da Fabiano Antoniani a Margherita Botto. E ai disobbedienti, ovviamente, che li hanno accompagnati. E poi a Filomena Gallo, avvocata e segretaria dell’Associazione Luca Coscioni, che in questi anni ha cambiato la legge 40 e che coordina il collegio studio e di difesa di noi che abbiamo violato una legge ingiusta.
[Nella foto: Felicetta Maltese, Marco Cappato e Chiara Lalli – 4 giugno 2025, udienza preliminare, Firenze]