“Ferdinando” di Annibale Ruccello è un vero capolavoro di drammaturgia che esplora i temi del desiderio sessuale e del suo potere sull’altro. Ambientato nel 1870, il dramma si svolge nella villa di Donna Clotilde, una baronessa borbonica che, dopo la caduta del Regno delle Due Sicilie, si ritira in un isolamento carico di disprezzo verso il nuovo regime sabaudo. Accanto a lei vivono Gesualda, una cugina povera e inasprita dalla solitudine, e Don Catellino, un prete corrotto e ambiguo. Fra i tre serpeggiano amori e gelosie, dipendenze affettive e ripicche, in un equilibrio familiare fatto di segreti e bugie. Solo l’arrivo di Ferdinando, un giovane dalla bellezza efebica e misteriosa, può sconvolgerlo, portando alla luce passioni sopite e segreti inconfessabili.
La prima messa in scena avvenne nel 1986, con la regia dello stesso Annibale Ruccello, anche Don Catellino, con Isa Danieli nel ruolo di Donna Clotilde. Questo allestimento originale fu acclamato dalla critica e vinse due premi IDI: nel 1985 come miglior testo teatrale e nel 1986 come miglior messinscena.
Oltre la storia, Ruccello propone più livelli di trasgressione. Mette in scena un dramma in cui la sessualità non è mai statica né etichettabile, ma si sviluppa in un gioco di tensioni e desideri repressi che sfidano – “parlando con parole di oggi” – il patriarcato e l’eteronormatività. Ferdinando non è solo un catalizzatore erotico e psicologico: è un elemento destabilizzante che porta con sé un’idea di identità sfuggente, ambigua, plausibilmente queer, con tutto il significato ampio che questa parola ha acquisito.
Nel panorama del teatro italiano del secondo Novecento, pochi autori hanno saputo intrecciare con tanta audacia il tema del desiderio sessuale con un gioco linguistico che contrappone tradizione e contemporaneità. Effetto di una ricchezza rintracciabile solo nell’universo del teatro napoletano, in Italia, dove il linguaggio stesso si trasforma in atto politico. Ruccello non si limita a raccontare il desiderio e la trasgressione, ma li incarna nella materia stessa della lingua. Il napoletano che permea il testo non è una mera scelta stilistica, ma una dichiarazione di intenti. Se l’italiano rappresenta l’ordine, la norma imposta, il napoletano è il mezzo attraverso cui i personaggi si liberano, si svelano e si tradiscono. È una lingua che si piega, si deforma, accoglie il doppio senso e la sensualità, una lingua che fluisce come il genere e il desiderio, senza irrigidirsi in schemi predefiniti.
Dopo l’allestimento storico di Ruccello, Ferdinando è stato diretto anche da Nadia Baldi, con Gea Martire nel ruolo di Donna Clotilde, in una versione che ne ha sottolineato la complessità dei personaggi e le dinamiche psicologiche che li legano, offrendo una lettura intensa e coinvolgente, certamente alternativa alla tradizione.
Arturo Cirillo riporta in scena a Roma il suo “Ferdinando” (già al secondo anno di tournée) al Teatro India dal 1 al 6 aprile 2025, proseguendo il suo approfondito lavoro sulla drammaturgia di Ruccello, dopo le precedenti messe in scena di “Le cinque rose di Jennifer” e “L’ereditiera”. Cirillo, che interpreta inoltre anche il ruolo di Don Catellino, dirige uno spettacolo che esplora l’ambiguità e il sortilegio insiti nel testo, mettendo in luce la modernità dei temi trattati attraverso una scenografia essenziale, che si fa luogo reale, ma anche maledizione dell’anima. I personaggi, fra cui spicca Sabrina Scuccimarra come Donna Clotilde, ne restano intrappolari. La luce li insegue per metterli a nudo ed essi la rifuggono, cercando un posto nell’ombra. Il testo assume così riflessi e chiaroscuri di rara introspezione filosofica, riallacciandosi all’immensa cultura che il mondo partenopeo accoglie, nasconde, rigenera.
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“Ferdinando”, di Annibale Ruccello, regia di Arturo Cirillo, dal 1 al 6 aprile al Teatro India di Roma. Con Sabrina Scuccimarra, Anna Rita Vitolo, Arturo Cirillo, Riccardo Ciccarelli. Scene Dario Gessati. Costumi Gianluca Falaschi. Musiche Francesco De Melis. Luci Paolo Manti. Regista collaboratore Roberto Capasso. Assistente alla regia Luciano Dell’Aglio. Foto Tommaso Le Pera. Produzione Marche Teatro, Teatro Metastasio di Prato, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini. Info qui.